lunedì 20 aprile 2020

“LA STRATEGIA DELL’OMBRA” DI SERGIO ZAVOLI IN UN ATTENTO CHECK UP DI ANDREA MANZI SUL QUOTIDIANO DEL SUD

Andrea Manzi – e chi, se non lui, che gli è affine per cultura, lucidità di pensiero e sensibilità – ha dedicato sul Quotidiano del Sud (edizione Salerno, di cui è direttore) una lunga recensione all’ultima raccolta poetica di Sergio Zavoli, “La strategia dell’ombra”, edita da Mondadori quattro anni fa. Che io – lo dico subito, ad evitare malintesi – non ho ancora letto (mi propongo di acquistarlo quanto prima), e me ne dolgo assai.
Zavoli è stato, con Enzo Biagi, uno degli idoli (intendo, maestri ai quali mi volgevo con devota attenzione) fin dalla mia giovinezza. In due diversi ambiti, che mi appassionavano allo stesso modo: Zavoli per il “Processo alla tappa” del Giro d’Italia, poi per i magnifici reportage: da quello struggente “Clausura”, in radio, del 1958, a “Viaggio intorno all’uomo” a “La Notte della Repubblica”, per citarne alcuni, che, secondo me, hanno raggiunto il livello più alto nella storia del nostro giornalismo televisivo.
L’amore per Biagi, invece, risale ai tempi della sua direzione di Epoca e non s’è mai interrotto, neppure dopo il diktat berlusconiano che lo mise fuori dal palinsesto della Rai.
Sergio Zavoli l’ho pure intervistato una volta, a Positano. Conservo cara la sua dedica su “Viva l’Itaglia”. Ebbi il piacere e l’onore, una sera dell’estate 1996, di stare a tavola all’Hotel San Pietro con lui e Francesco Paolo Casavola. Ricordo ancora, con immutata emozione, quella straordinaria esperienza.

Ma torno a “La strategia dell’ombra”.
Dell’analisi che ne fa Andrea Manzi, profonda, dettagliata, complessa, accattivante, stralcio un passo che mi pare particolarmente significativo: la poesia di Zavoli – scrive il direttore - «disegna la linea di un orizzonte storico poeticamente dilatato (“è una remota idea la storia / che si affidava ai miti, come / non è reale solo il razionale…”), rassicurante riferimento per ogni lettore oscurato dall’eclisse del tempo.
Le ore ferme e infinite angosciano, nelle tragedie indossano i calzari di piombo e sembrano schiacciarci su un presente statico ineluttabile: il tempo immobile alimenta, in questo severo e godibile libro, teneri ricordi di guerra, quando la libertà baluginava nelle feritoie della speranza e il poeta, tra i cascami della tragedia immane, non scorgeva la vita (“… in quel vuoto cercavo qualcosa di rimasto / alle sue forme, si vedevano solo i campanili / a guardia del disastro…”). Erano sere amare che “si stringevano d’un tratto”, e nelle quali “l’ombra si induriva, / sembrava avere anch’essa la sua ombra”). Sono i versi dell’assenza desolante, della fine delle cose, dell’ombre inspessita e non ancora strategica; ma nella poesia di Zavoli lievita il rimedio, compare l’uscita di sicurezza che è, poi, l’entrata nella contraddizione del divenire, nella drammaticità dei conflitti dell’esistenza. “Occorrerebbe un vento / che avesse la facoltà di far salire / nell’azzurro del cosmo / un suono destinato a portare / il grazie della Terra a chi, / forse un angelo musicante, / aveva dato asl pianoforte roco, in quei mattini, / un suono così umano”. Il bivio, la sponda, l’attesa diventano partenze/soste, attraverso le quali il poeta tenta di scolorire l’ombra-guida che la vita gli affidò come bussola, sonda di giovinezza, lampada mitica.»
Sigismondo Nastri