Zavoli è stato, con Enzo Biagi, uno degli idoli
(intendo, maestri ai quali mi volgevo con devota attenzione) fin dalla mia
giovinezza. In due diversi ambiti, che mi appassionavano allo stesso modo:
Zavoli per il “Processo alla tappa” del Giro d’Italia, poi per i magnifici
reportage: da quello struggente “Clausura”, in radio, del 1958, a “Viaggio
intorno all’uomo” a “La Notte della Repubblica”, per citarne alcuni, che,
secondo me, hanno raggiunto il livello più alto nella storia del nostro giornalismo
televisivo.
L’amore per Biagi, invece, risale ai tempi della
sua direzione di Epoca e non s’è mai interrotto, neppure dopo il diktat
berlusconiano che lo mise fuori dal palinsesto della Rai.
Sergio Zavoli l’ho pure intervistato una volta, a
Positano. Conservo cara la sua dedica su “Viva l’Itaglia”. Ebbi il piacere e l’onore,
una sera dell’estate 1996, di stare a tavola all’Hotel San Pietro con lui e Francesco
Paolo Casavola. Ricordo ancora, con immutata emozione, quella straordinaria
esperienza.
Ma torno a “La strategia dell’ombra”.
Dell’analisi che ne fa Andrea Manzi, profonda,
dettagliata, complessa, accattivante, stralcio un passo che mi pare
particolarmente significativo: la poesia di Zavoli – scrive il direttore - «disegna
la linea di un orizzonte storico poeticamente dilatato (“è una remota idea la
storia / che si affidava ai miti, come / non è reale solo il razionale…”),
rassicurante riferimento per ogni lettore oscurato dall’eclisse del tempo.
Le ore ferme e infinite angosciano, nelle tragedie
indossano i calzari di piombo e sembrano schiacciarci su un presente statico
ineluttabile: il tempo immobile alimenta, in questo severo e godibile libro,
teneri ricordi di guerra, quando la libertà baluginava nelle feritoie della
speranza e il poeta, tra i cascami della tragedia immane, non scorgeva la vita
(“… in quel vuoto cercavo qualcosa di rimasto / alle sue forme, si vedevano
solo i campanili / a guardia del disastro…”). Erano sere amare che “si
stringevano d’un tratto”, e nelle quali “l’ombra si induriva, / sembrava avere
anch’essa la sua ombra”). Sono i versi dell’assenza desolante, della fine delle
cose, dell’ombre inspessita e non ancora strategica; ma nella poesia di Zavoli
lievita il rimedio, compare l’uscita di sicurezza che è, poi, l’entrata nella
contraddizione del divenire, nella drammaticità dei conflitti dell’esistenza. “Occorrerebbe
un vento / che avesse la facoltà di far salire / nell’azzurro del cosmo / un
suono destinato a portare / il grazie della Terra a chi, / forse un angelo
musicante, / aveva dato asl pianoforte roco, in quei mattini, / un suono così
umano”. Il bivio, la sponda, l’attesa diventano partenze/soste, attraverso le
quali il poeta tenta di scolorire l’ombra-guida che la vita gli affidò come
bussola, sonda di giovinezza, lampada mitica.»
Sigismondo Nastri