Io non amo la Fiat, da quando nel 1998 provai ad acquistare la Brava (o Bravo, non ricordo bene). Andai da parecchi concessionari a Salerno e in provincia (uno mi era pure amico): stesso modello, stesso colore, stessi accessori. Niente omogeneità di prezzo. Una differenza non di spiccioli. Rimasi perplesso. Optai per una macchina giapponese: i punti vendita erano pochi, allargai il giro fino a Caserta trovando prezzi perfettamente uguali, peraltro non superiori alla Brava. Scelsi la vettura nipponica, non mi ha mai lasciato a terra e dopo vent'anni fa ancora bella figura.
Non amo la Fiat, ripeto, e conseguentemente la squadra di calcio che la rappresenta.
Il mio incontro con Susanna Agnelli, nel 1996, a Ravello |
Eppure ho avuto grande ammirazione per Gianni Agnelli, che ha rappresentato l'Italia a livelli altissimi nell'impresa, nella politica, nella mondanità e nella moda (oltretutto era un amante della Costa d'Amalfi, con casa a Conca dei Marini), ho avuto modo di conoscere Susanna Agnelli, persona squisitissima, quando era ministro degli Esteri. Con la stessa ammirazione ho seguito l'ascesa ai vertici del colosso automobilistico di Sergio Marchionne, self-made man, assurto al ruolo di grande manager, come lo era stato nell'immediato dopoguerra Vittorio Valletta. Solo che Marchionne - da vero abruzzese - ha avuto un carattere più schietto, leale (altro che i "torinesi falsi e cortesi" del famoso proverbio), diventando antipatico a molti: quando gli è parso necessario ha dato bastonate a governi, istituzioni, sindacati. Ai lavoratori. Ha tirato fuori la Fiat dalla Confindustria.
Ha condotto operazioni di immensa portata, evitando il fallimento sia dell'azienda torinese sia dell'americana Chrysler. La storia dell'economia italiana e mondiale gliene darà merito.
Trovo un elemento di somiglianza (pur avendo essi fisionomie e stazza differenti - uno, gracile e minuto, l'altro prestante e robusto) tra Valletta e Marchionne. Entrambi, personaggi schivi, estranei alla deriva mondana: il primo si muoveva a Torino, negli anni del dopoguerra, alla guida di una 500; l'altro ha conservato la sua immagine, destinata a diventare iconica, con l'abituale maglioncino blu. Non rinunciandovi neppure quando andava alla Casa Bianca o al Quirinale.
Si sentiva un uomo solo perché "chi comanda è solo". Altri dicono che è stato "lo Steve jobs dell"auto". Le due definizioni si saldano.
© Sigismondo Nastri
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