Quando si è avanti negli anni, e io lo sono,
insorgono problemi di memoria: nel senso
che si sviluppano sostanziali modificazioni delle capacità mnestiche. In poche
parole, ci si dimentica facilmente delle cose recenti, mentre ritornano alla
mente episodi di un passato più o meno lontano. Figuriamoci se suffragati da
documenti che vengono fuori dalle tante carte ammucchiate nei faldoni o nei cassetti.

Racconto i fatti, partendo dall'anno precedente: estate o inizio autunno del 1959. Avevo presentato la domanda all’Odg della Campania, insieme a una cartella contenente – come è
prassi - articoli firmati, siglati e non firmati (mai restituiti) e due
certificati: quelli di Renato Angiolillo, direttore del Tempo, e di Nicola
Sergio, direttore di Momento-sera, quotidiani autorevoli dei quali ero
corrispondente da Amalfi. Certificati
che riguardavano anche i compensi percepiti. Una corposa documentazione,
insomma, già sottoposta, alcuni giorni
prima, all’attenzione del presidente Adriano Falvo, in un incontro a Napoli
mediato dal sindaco di Amalfi Francesco Amodio, deputato al Parlamento, del quale ero segretario. Ero tornato felice per i complimenti ricevuti e l'assicurazione
che non ci sarebbero stati problemi. A mio favore s’era prodigato pure Carlo
Barbieri, direttore della Tribuna illustrata e presidente dell’Ordine dei
giornalisti di Roma, che aveva preso a volermi bene, incoraggiandomi e
stimolandomi, dopo che c’eravamo conosciuti nell’edicola di Andrea Savo ad
Amalfi.

Giurai che non ci avrei più riprovato. Dovetti farlo
– lo confesso, malvolentieri - nel 1988
(ventott’anni dopo!), affettuosamente “obbligato” da Umberto Belpedio, che
premeva perché venissi contrattualizzato (così avvenne) dal Giornale di Napoli,
col quale grazie a lui - capo della redazione di Salerno - già collaboravo, e sollecitato dall’indimenticabile Mimmo
Castellano, vecchio e caro amico. Senza quella canagliata del 1960, forse avrei
tentato – magari senza riuscirci, ma sarebbe stata colpa mia - la strada del
professionismo.
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