Col titolo "Campi sconfinati" si aprirà venerdì 11 agosto alle ore 19, nella
chiesa di S.Giovanni del Toro a Ravello, la mostra di Giuseppe Palermo, che nasce sicuramente dalla lunga esperienza
dell’artista maturata nel campo della lavorazione della ceramica- Tuttavia, con
l’irriverenza giocosa che lo contraddistingue, in queste nuove opere egli tende
al paradosso di celebrare la ceramica senza ricorrere all’ausilio della stessa.
Dodici tele di grandi dimensioni riproducono ad olio le decorazione di
altrettante 12 storiche mattonelle dell’antica tradizione vietrese provenienti
da collezioni private. Grandi dipinti ad olio che trasformano minute porzioni di decorazione
nel soggetto pittorico stesso, che trasformano il reale in immaginario. “In
questo suo inedito percorso - afferma il curatore della mostra, Claudio
Andreoli -, Giuseppe Palermo rinuncia
alle tecniche e ai materiali tradizionali che hanno costruito la storia
artistica della Costa d’Amalfi e indaga, con un salto di scala, la distanza tra
la ceramica stessa e il nostro ‘consueto’ modo di viverla. La pittura di per sé
ha il potere di trasformare ogni elemento che ci circonda in elemento
pittorico. L’artista in questa occasione
si spinge oltre ‘zoomando’ la quotidianità e l’irrilevante, trasformando
la pittura in pittura, il dipingere in dipingere. I piccoli ‘campi’ di colore
delimitati dalle ridottissime dimensioni della mattonella e dal pennello veloce
dell'artigiano diventano in questo caso sconfinati ‘campi’ di colore. Quello
che prima era un segno filiforme, millimetrico, ora si trasforma in territorio
pittorico”.
Giuseppe Palermo nasce e cresce
immerso nelle profonde suggestioni paesaggistiche e culturali della Costiera
amalfitana ma vive e lavora a Roma dove espone in alcune gallerie della città
(Galleria il Sole Arte Contemporanea). Si caratterizza per un percorso artistico poliedrico che spazia tra la sperimentazione dei materiali al gioco
delle tecniche pittoriche, passando tra
la pittura e la scultura e focalizzandosi soprattutto sulla tradizione
artigianale costiera legata alla ceramica. L’artista si è approcciato a
quest’ultimo ambito con lo spirito creativo ed eclettico che lo
contraddistingue dando vita ad uno stile del tutto personale in cui coesistono
manualità e immaginazione, visone estetica astratta e concettuale.
“Varcare il contorno dell’immagine
nella sua compiuta trascrizione di figure che chiamano in causa lo stile,
evidente, soprattutto, nel reiterato ricorso ai colori della tradizione e farsi
partecipe della composizione di un decoro per moduli - scrive Massimo Bignardi
nel catalogo - è il punto sul quale ha
insistito Giuseppe: lo ha fatto evitando i processi tecnici offerti dalle
pratiche digitali, l’ingrandimento a dismisura dell’immagine prelevando,
meccanicamente, piccoli brani, dettagli, cifre quasi irriconoscibili. Lo ha fatto, invece, servendosi
della pittura, della sua capacità di accogliere l’incertezza del pennello, il
caso e, dunque, la sbavatura, l’irregolarità della linea, insomma quel suo
dettare il rapporto con il bianco del fondo e quindi i ritmi con i quali
misurare le distanze tra forme e figure. Ossia di scendere negli anfratti
bianchi degli smalti ceramici che si incuneano nell’intreccio di segni lineari
o di macchie, che l’artiere affidava alla punta del pennello o al suo denso
corpo di setola o, anche, alla spugnetta, di color ‘blu stampa’ e di giallo che
esplode in superficie come le stelle nella notte di Arles. Il suo è l’andare,
con un passo accelerato, nel corpo della pittura, nel suo farsi esperienza di
un modo di relazionarsi al mondo delle cose, accogliendone la temporanea
esistenza di materia e di corpo, per subito varcare i territori dell’immagine e
quindi della forma. Il formato delle opere che insiste sul quadrato, almeno lo
è stato per le prime, la dimensione scelta dell’ingrandimento fondata sul
rapporto 1:2 ci fa intendere come l’esperienza sia stata filtrata da una
riflessione sui rapporti, alla luce di una riflessione sulla capacità della
pittura di farsi medium di una necessità d’identità esistenziale. Voglio dire
che essa si fa adesione ad un modo di sentire il territorio ‘sociale’ come
campo della propria creatività e, al tempo stesso, esercizio che
dell’immaginario ne fa strumento di conoscenza”.