venerdì 23 giugno 2017

AMALFI HA COPERTO DI SILENZIO IL DECIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI GAETANO AMENDOLA

Quando dico che il nostro è un paese senza memoria vien fuori sempre qualcuno che tenta di contraddirmi. Ma è proprio così.  Dieci anni fa, il 21 febbraio 2007, morì a Roma, all’età di ottantuno anni, Gaetano Amendola. La ricorrenza è passata sotto silenzio. Come se la città avesse voluto cancellarlo dalla memoria. Eppure egli è stato, con Francesco Amodio, Ruggiero Francese, Plinio Amendola, un protagonista di rilievo della storia amalfitana della seconda metà del novecento. Lo scrissi subito dopo la sua scomparsa, lo ripeto oggi.
Gli ero amico, ma non sono stato un suo seguace, un suo sostenitore. Ne ho pure pagato le conseguenze, sulla mia pelle. Come quando, eletto lui a capo dell’amministrazione comunale, la mattina successiva fui allontanato da palazzo san Benedetto con un ordine di servizio. Non ne feci un dramma: capivo di essere la vittima sacrificale dei giochi di potere che avevano portato alla defenestrazione del sindaco Amodio, del quale ero segretario. La politica è una scala: si sale e si scende. Siate gentili con le persone che incontrate salendo – ricorda un cartello nell’Hotel Rand di New York -, perché tornerete a incontrarle scendendo”. 
Conservo tra le mie carte una lettera che mi scrisse nel 1959, in cui dichiarava amore incondizionato per la sua città. Non l'ho mai dubitato. Anche se, a rileggerla adesso, quell'augurio "di poter fare ancora qualcosa per l'avvenire" mi sembra quasi riferito a ciò che successe negli anni successivi. 
Gaetano Amendola, dicevo, è stato, per Amalfi, uno dei personaggi più importanti della seconda metà del novecento. Conosceva le stanze del potere come pochi altri. Le aveva frequentate da quando, giovanissimo, s’era trasferito nella capitale per andare a lavorare al Ministero dei lavori pubblici. Gennaro Cassiani, deputato calabrese, divenuto ministro della Marina Mercantile, lo chiamò alla sua segreteria. Poi Fernando Tambroni lo volle con sé come segretario particolare: allo stesso dicastero di piazza della Minerva (1953-55), all’Interno (1955-59), al Bilancio (1959-60), alla Presidenza del Consiglio (1960). Nel 1959 il politico marchigiano, che aveva messo su un governo con l’appoggio determinante del Msi, fu costretto a dimettersi in seguito a violenti moti di piazza.
Uscito di scena Tambroni, Gaetano Amendola legò i suoi destini a quelli di Arnaldo Forlani, altro marchigiano, giunto in parlamento nel 1958 e avviato a una vera e propria escalation: ministro delle Partecipazioni statali, della Difesa, degli Affari esteri, Vice Presidente del Consiglio dei ministri, Capo del governo, Segretario politico della Dc. Poi le inchieste su tangentopoli travolsero, col partito, anche il suo leader. E lo stesso Gaetano Amendola non ne uscì indenne. Ma questa è un’altra storia.
All’inizio degli anni sessanta Amalfi era una roccaforte dello Scudo crociato, stretta intorno al sindaco Francesco Amodio, che dal 1958 poteva fregiarsi del titolo di onorevole, essendo stato eletto deputato al parlamento. Gaetano Amendola, suo figlioccio (di cresima), sollecitato e mal consigliato da alcuni notabili locali - Nicola Milano, Pietro De Luca, Gerardo Del Pizzo -, decise di impegnarsi in prima persona nella vita amministrativa della città. Non come trait d’union, ma come elemento di rottura. Di conseguenza, la maggioranza consiliare si spaccò e ad Amodio non rimase che farsi da parte. Amendola gli subentrò nella carica di primo cittadino per un quadriennio (dal 1961 al 1965). Terminata quella esperienza si aprì un periodo di instabilità amministrativa, che ridimensionò la Dc e consegnò la guida del comune a un esponente autorevole del Partito comunista, l’onorevole Tommaso Biamonte.
Gaetano Amendola fu anche presidente della Camera di Commercio di Salerno.
Sigismondo Nastri

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