Il 17 giugno - scrive L'Azione, settimanale della diocesi di Fabriano-Matelica - ci sarà una grande giornata, a Matelica, dedicata a Mons. Ercolano Marini. All'indimenticato presule, che fu per trent'anni - dal 1915 al 1945 - arcivescovo di Amalfi, sarà intitolata la piazza antistante la Chiesa del Ss. Crocifisso.
La Chiesa amalfitana, rinunciando alla possibilità di avviare la causa di beatificazione di Mons. Marini (attesa da tante persone, che a lui indirizzavano le loro preghiere - ricordo di aver visto una volta un'immaginetta al capezzale di un infermo, in ospedale -, e da me più volte invocata), ha perso un'occasione storica.
Su Mons. Marini ripropongo qui il mio saggio, già pubblicato su questo blog il 2.6.2007.
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Nella cattedrale di Sant’Andrea, in cima alla scala che conduce
alla cripta, riposano le spoglie di mons.
Ercolano Marini, che fu arcivescovo di Amalfi dal 1915 al 1945.
I fedeli – quelli più anziani, che ebbero la fortuna di conoscerlo - si fermano
dinanzi alla tomba, sovrastata da un Crocifisso, e si raccolgono in preghiera.
I buoni, i santi non si possono dimenticare.
Monsignor Marini morì a Roma, nell’Istituto della Fraternità
Sacerdotale, dove si era ritirato, il 16 novembre del 1950. La mattina del 19,
domenica, la salma fu trasportata ad Amalfi, accompagnata dai nipoti Pietro e
Remo Marini. Scortata da Carabinieri in motocicletta, giunse in città alle
quattro del pomeriggio, “accolta trionfalmente, da due ali di popolo” .
Era nato a Matelica (Macerata) il 21 novembre 1866. Queste le tappe
fondamentali del suo percorso di vita e di apostolato: studi nel seminario di
Fabriano; ordinato sacerdote il 21 settembre 1899; laureato in teologia a
Bologna; parroco di Tonicoli dal 27 marzo 1892; canonico della cattedrale di
Matelica dal 19 agosto 1894; priore della
cattedrale di Terni dal 7 settembre 1899; vicario generale del vescovo di
Spoleto dal 13 gennaio 1901; eletto vescovo titolare di Archelaide in Palestina
il 29 giugno 1904; consacrato il 31 luglio successivo; trasferito a Norcia l’11
dicembre 1905. Promosso arcivescovo di Amalfi il 2 giugno 1915, vi rimase fino
al 3 ottobre 1945.
Ad Amalfi giunse
in un momento difficile, in piena guerra mondiale, accompagnato dalla fama di brillante oratore
e di elegante scrittore che aveva “dato alle stampe più che venti lettere
pastorali, testimoni della profonda pietà sua non meno che della sua elevata
coltura teologica e letteraria, mentre a Roma e Genova ed altre città della
Liguria e del Veneto ne ricordano i suoi discorsi” . A Norcia si era impegnato per veder ultimata, prima di lasciare
quella diocesi, “la sistemazione e l’abbellimento della cripta di S. Benedetto,
ove questi e la sorella S. Scolastica videro la luce nello stesso giorno e
nella stessa ora” .
Dopo un trentennio di guida dell’arcidiocesi amalfitana, chiese a
Pio XII, che lo aveva ricevuto in udienza,
di volerlo dispensare da quell’incarico gravoso in quanto, dopo tanti
anni di governo delle anime, sentiva “il bisogno di solitudine e di silenzio”.
Fu, il suo, un gesto anticipatore della norma introdotta da Paolo VI, che
impone ai vescovi di dare le dimissioni al compimento del settantacinquesimo
anno di età.
Nel commosso discorso di addio, il 30 settembre 1945, in una
cattedrale gremita di popolo, tracciò il consuntivo della sua attività:
“Abbracciando in una visione di volo la vita pastorale svoltasi nel lungo
periodo, mi riappare in soavità rinnovata la vostra adesione alle mie
iniziative e il vostro affetto devoto, che è culminato nella celebrazione
solenne dei miei giubilei e del quarantesimo del mio episcopato. Ma, insieme
con l’affermazione del vostro filiale attaccamento, così generale e costante,
non potevano mancare e non sono mancate ansie, incomprensioni ed amarezze, in
cui, logorandosi, la mia vita si è venuta consumando come sopra un altare: ad immolandum Domino veni!
Sotto l’azione di forze che crocifiggono, la grazia divina mi ha spinto ad
effondermi per il bene di tutti e dei singoli. È stato, quindi, giocondo per me
il dispensare quanto ho avuto di risorse economiche e lo spogliarmi degli
stessi oggetti preziosi, che avevano anche il valore di memorandi ricordi. E
adesso nella gioia della povertà avvolgo l’umile sacrificio di me stesso, che
offro al Padre celeste per il bene comune:
ad immolandum Domino veni! Il sacrificio non è stato infecondo. Lo
splendore assunto dalla sacra Liturgia, il rinnovamento di tanti sacri edifici,
la fondazione e lo sviluppo dell’Orfanotrofio maschile e di altre Istituzioni
di educazione cristiana, l’affermazione del culto della SS. Trinità con il suo
Santuario in Amalfi, queste ed altre opere di carità cristiana, che oggi
esistono e ieri non esistevano, hanno assunto forma e vigore dal Sacrificio di
Cristo, a cui ho cercato di ispirare il mio ministero e la mia vita: ad immolandum Domino veni!”.
La lunga permanenza ad Amalfi fu caratterizzata dai due conflitti
mondiali, da gravi calamità naturali, che fecero emergere tutta la sua
sensibilità, tesa “a cogliere le fasi più significative della tormentata e
aspra esistenza del popolo sottoposto alla giurisdizione dell’alto officio di
lui” . Il 31 luglio 1919 vi inaugurò, in un edificio donatogli dalla
famiglia Torre, l’orfanotrofio, che
volle dotare di una scuola di formazione professionale per ebanisti e
meccanici. Un’opera realizzata con
coraggio e fede nella Provvidenza divina, “senza mezzi, senza poteri, senza
validi aiuti”, che poté accogliere orfani di guerra, poi altri fanciulli e
ragazzi “privi della carezza paterna o materna”.
La creazione di un orfanotrofio, “mentre la guerra aveva compiuto
il suo ciclo di odio e di sangue - rilevò Matteo Incagliati, un giornalista che
conosceva bene la realtà locale -, parve all’arcivescovo mons. Ercolano Marini
una necessità sociale, una ispirazione del ministero divino cui l’illustre
prelato confida con austera virtù e con fervida anima le sue idealità. E gli
orfani di guerra della città di Amalfi furono così tratti dalla via, e raccolti
in un asilo, dove signoreggia lo spirito della solidarietà umana, non la pietà,
non la carità. Perché l’arcivescovo Marini con la parola e con le consuetudini
del suo ministero è riuscito a far sentire come il precetto di Gesù per i
fanciulli abbia tale e tanta forza di suggestione da sollevare i diritti
dell’amore in un’alta sublime sfera” .
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Mons. Ercolano Marini |
Alla conclusione della guerra 1915-18, nella lettera pastorale dal
titolo “Dopo la vittoria”, affrontò il problema della dignità femminile in
termini molto forti. Era rimasto colpito da un album di fotografie ad uso dei
turisti che ritraeva “donne portanti al collo lunghi barili e una verga in mano
e sotto la scritta: “Costumi di Amalfi””. “O cari – invocò -, per il comune
decoro, strappate quella pagina, che ci condanna e ci infama, mostrando ai più
lontani ammiratori delle nostre naturali bellezze quanto ancora siamo indietro
nelle vie luminose della civiltà”. E
aggiunse: “Pare che una condanna pesi ancora sulle donne dei nostri villaggi. Curve
sotto inverosimili pesi, esse discendono alla valle per innumere multiformi
scale sconnesse, per sentieri rocciosi, levigati dai quotidiani sudori di
doglia, correndo per conservare l’equilibrio, e spesso cantando, quasi a
mostrare che nello schiacciamento del corpo essere conservano l’anima libera a
elevarsi a nobili sensi e a delicati pensieri. Ma vederle in
quell’atteggiamento di spasimo, sentire il fiotto concomitante gli sbalzi della
loro cadenzata discesa, commuove e genera la brama, che sorga un braccio a
redimerle. Sono povere vecchiette, a cui il bianco crine non dà ancora il
diritto di un pane tranquillo e di un onesto riposo; sono giovani madri, che i
poppanti bambini per lunghe ore invano cercano con i sorrisi e con lacrimosi
vagiti e non riànno se non defaticate e oppresse; sono soavi e innocenti
fanciulle, condannate a camminare col capo verso terra, mentre dovrebbero
tenerlo alto per raccogliere gli effluvi degli alberi e i baci del sole. Ignare
delle conseguenze funeste, esse inconsapevolmente minano la propria esistenza.
Al loro pesante lavoro deve ascriversi l’anemia così diffusa, la frequente
tubercolosi, il tumore deformante, la precoce vecchiaia. Sminuite e
schiacciate, non possono poi dare che una generazione debole e immiserita.
Tessete la dogliosa statistica dei rachitici, degli storpi, dei mentecatti e,
senza timore di errare, assegnatene la più grande parte di responsabilità al
deprimente sistema, per cui la donna deve surrogare ancora la bestia da soma,
dopo venti secoli di civiltà cristiana”.
Il 26 marzo 1924 un violento nubifragio si abbatté sul versante
occidentale della Costiera amalfitana, seminando lutti e rovine. Quella grave
calamità ispirò la sedicesima lettera pastorale, nella quale l’arcivescovo
invitò a non ritenere il disastro “un castigo. Questo concetto può perdonarsi a
persone ignare del Vangelo; non a noi che ne meditiamo tanto spesso le pagine
sante”. Il disastro, sosteneva mons. Marini, “è destinato ad irradiare i
misteri della vita e a mettere a nudo la nostra insufficienza superba. Noi
andiamo orgogliosi delle conquiste dell’ingegno umano, che è giunto a domare le
cieche forze della natura e ad incanalare le sue poderose energie. Incagliati, famoso giornalista, che
abitualmente trascorreva ad Amalfi i suoi momenti di riposo, commentò: “Questo
prelato ha una mente nutrita di forti studi e un’anima non insensibile alle
ansie e alle speranze del popolo. La sua missione non si esercita, non si
esaurisce nell’ambito della gloriosa cattedrale, ma va oltre l’altare, oltre il
suo trono; e il suo spirito vaga per le vie, come a sollevare miserie, come a
rinnovare pace alla gente affaticata e pensosa. È la sua un’opera che ricorda
quella dei santi uomini della fede cristiana; poiché la Chiesa, auspice mons.
Marini, non è più la reggia degli eletti, ma la reggia di tutti, nel nome di
Dio” .
L’episcopato di mons. Marini fu interamente consacrato al ministero
della parola ed alla generosa dedizione alla causa dei più bisognosi.
L’arcivescovo dava “tutto il suo e quanto gli passava per le mani”, riferì don
Antonio Turri, un religioso guanelliano che per cinque anni (1940-45) diresse
il “suo” orfanotrofio. Lo confermano, del resto, due episodi, raccontati dallo
stesso don Turri a mo’ d’esempio: “Il
popolo, dopo lo sbarco del settembre 1943, era come non mai non solo smarrito
moralmente ma anche fisicamente provato e debilitato. Quanta pena facevano
fanciulli e bambini scheletriti e affamati! Un giorno si trovò tra le “vecchie”
cose della Cattedrale una preziosa croce pettorale (della sua se ne era già
privato, conservandone una di semplice ottone!): avrebbe voluto alienarla per
distribuire il ricavato alla povera gente, ma non vi riuscì. In un’altra
occasione, poco prima di lasciare la Diocesi (settembre 1945) per la Badia di
Finalpia, mi chiamò, mi mostrò alcuni pezzi di posateria d’argento, pregandomi
di recarmi a Salerno per venderli. Ricordo che dovetti faticare tutta una
giornata per non “svendere”. Trovai finalmente una brava persona che, capito di
che si trattava, acquistò i pezzi di argento, consegnandomi, oltre al prezzo
pattuito, anche una generosa offerta. Tornato ad Amalfi, consegnai il danaro
all’Arcivescovo; il giorno seguente mi richiamò e mi diede un elenco di
famiglie da soccorrere e la relativa somma da lasciare ad ognuna. “Ora non ho
più nulla – mi disse – lascio la Diocesi povero, per vivere i miei ultimi anni,
come ho sempre desiderato di vivere, povero come Gesù” . E così, nel testamento spirituale, poté annotare: “Nulla
possiedo; né stabili, né oggetti preziosi, né titoli di Stato, né moneta
contante. Come sono grato al Signore dello stato di povertà, in cui lascio la
terra!”.
Scorrendo i titoli dei libri di mons. Marini emerge che tutta la
sua attività pastorale fu incentrata sul mistero del Dio Uno e Trino: Gli Splendori del Credo; La SS. Trinità nei Sacramenti della
Chiesa; La SS.
Trinità e la vita cristiana; La
SS. Trinità e la morte cristiana; La SS. Trinità e il tempio cristiano; “Candida Rosa”. La SS. Trinità in Maria
SS.ma, negli Angeli e nei Santi; S.
Giuseppe nelle irradiazioni della SS. Trinità; Dal culto dell’Eucaristia al culto della
SS. Trinità; Gloria
Tibi, Trinitas.
Altre opere: Il
Prof. Giuseppe Moscati; Profili
biografici del Ven. Nunzio Sulprizio; Vita della Serva di Dio Filomena Giovanna Genovese;
Facciamoci Santi; S. Adriano Martire, La Terra Santa; Nel corso degli avvenimenti.
Nella ricorrenza del quarantesimo anniversario della morte, mons.
Gioacchino Illiano, amministratore apostolico dell’Arcidiocesi di Amalfi - Cava
de’ Tirreni, sottolineò l’elevata e feconda visione teologica di mons. Marini -
quella, appunto, trinitaria, cui saldamente aveva ancorato la sua molteplice
azione pastorale, - e il ruolo di esponente di punta del movimento liturgico in
Italia (che gli ottenne, da parte dell’abate benedettino di S. Maria di Finalpia,
D. Salvatore Marsili, insigne maestro di Liturgia, una menzione significativa
nella Introduzione alla Liturgia, edita dalla Marietti): qualità che avevano
fatto di lui “un precursore della nuova stagione ecclesiale, inaugurata dal
Vaticano II con la riforma liturgica e la riscoperta della centralità del
mistero trinitario nell’economia della salvezza” . Peraltro, già nel maggio 1914, il primo numero della “Rivista
Liturgica”, citando ampiamente la XIV lettera pastorale “La Preghiera”,
pubblicata nel 1911, quando era vescovo di Norcia, gli aveva assegnato un posto
d’onore nel risveglio del movimento liturgico in Italia .
© Sigismondo Nastri