Non è da molto che conosco Pietro Falivena. Per me,
fino a un po’ di tempo fa, era solo il fratello di Aldo, uno dei punti di
riferimento di quanti, ragazzi, volevamo fare i giornalisti. Quando lui – il ricordo va agli anni cinquanta del secolo scorso – era a capo della redazione de Il Giornale a Salerno. Com’era
diverso, allora, il giornalismo: senza veline, senza comunicati stampa. Le
notizie dovevi cercarle, nel senso che dovevi avere dei personali
canali di informazione, puntuali, affidabili.
Dicevo che l’amicizia con Pietro è relativamente
recente. Fondata, tuttavia, su solide basi di stima e di condivisione di idee, pensieri, valori. Ci si vede, per lo più, nella bottega di Adriano
Paolelli, frequentata anche da Cosimo Budetta.
Ecco: Budetta, Falivena, Paolelli, un trio delle
meraviglie. Simile a quello che, una volta, nel calcio, incantava e divertiva: Green, Liedholm, Nordhal. Accomuno così tre artisti - personalità diverse, come diverso è il loro modo di dipingere - che, tuttavia, hanno il privilegio di lavorare in assoluta libertà,
senza condizionamenti. Senza la logica imposta dai galleristi. Non è poco, in
un tempo in cui tutto è oggetto di mercificazione.
Adriano Paolelli: Ritratto di Pietro Falivena |
Ma torno a Pietro Falivena che ieri pomeriggio, a Salerno,
negli spazi di palazzo Genovese (largo Campo), ha inaugurato una personale – a
cura di Lucio Afeltra, Corradino Pellecchia e Vito Pinto – alla quale ha dato
nome “Ottanta da mostrare”. Non ci son
potuto andare e mi dispiace. Il titolo è lo stesso che trovo sulla cartella
nella quale è inserito un dipinto, del quale ha voluto farmi dono quando, due
mesi fa, ha compiuto ottant’anni.
Andrò a visitarla nei prossimi giorni. Ieri, purtroppo, non m’è stato possibile.
Andrò a visitarla nei prossimi giorni. Ieri, purtroppo, non m’è stato possibile.
Falivena è l’artista delle carte perse, delle carte
volanti, delle carte colorate. In cui le forme, le linee, un cromatismo
vivace richiamano – lo evidenzia Paolo Romano su La Città, citando
Francesco d’Episcopo, autore del testo di presentazione – «l’inconscio
immaginifico sepolto in ciascuno di noi».
«Nella
tavolozza di Falivena – nota Paolo Romano – i cieli rossi ed i mari verdi, le
barche e le marine, le case pastello ed i campi giallo limone, gli alberi dai
colori improbabili e le colline d’un verde chiarissimo popolano un universo
pittorico dove il sovrano assoluto è il colore, steso direttamente sul foglio e
sulla tela, senza nemmeno passare attraverso la mediazione del disegno».
La mostra ha ampio spazio pure su Il Mattino. Per Marcello Napoli è «un’antologia di segni e di sogni dove è protagonista il ‘calore del colore’, quel brivido caldo che è raro trovare in tempi così falsamente artificiali, dominati dal pixel, dal pc, tablet, ma non dalle mani e dagli occhi. Il tratto apparentemente infantile, gli alberi, la casa, le onde del mare in cieli arcobaleno sono più grafica e graffio che copia dalla realtà, più impressioni che spiegazioni, più sensazioni che illustrazioni».
La mostra ha ampio spazio pure su Il Mattino. Per Marcello Napoli è «un’antologia di segni e di sogni dove è protagonista il ‘calore del colore’, quel brivido caldo che è raro trovare in tempi così falsamente artificiali, dominati dal pixel, dal pc, tablet, ma non dalle mani e dagli occhi. Il tratto apparentemente infantile, gli alberi, la casa, le onde del mare in cieli arcobaleno sono più grafica e graffio che copia dalla realtà, più impressioni che spiegazioni, più sensazioni che illustrazioni».
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