martedì 29 novembre 2016

DOMANI AMALFI CELEBRA LA FESTA DI SANT'ANDREA APOSTOLO, PATRONO DELLA CITTA'. VECCHI DETTI LEGATI ALLA RICORRENZA

Domani, festa di Sant'Andrea apostolo ad Amalfi. Considerato l'improvviso calo della temperatura, verificatosi stanotte, chissà che il vecchio detto non trovi concreta applicazione: "Sant'Andrea, 'a neva 'mpoléa". Cioè (come lo interpreto io): "Sant'Andrea, la neve in grembo".
Questa espressione, 'mpoléa, è tipicamente amalfitana. Non ce n'è traccia nella lingua napoletana. Cerco di perciò di far leva sui ricordi. Ad Amalfi - questo è certo - 'mpoléa significava "dint' 'o mantesino": "dentro il grembiule", indossato dalle donne durante i lavori domestici, dalla vita in giù, annoccato sulla schiena. Che, oltre a proteggere dalle macchie, dagli schizzi del ragù e non solo del ragù, aveva altri usi: quello di presine quando c'era da spostare una pignata dal fuoco o portare a tavola una zuppiera bollente, e di canestro per piccoli trasporti in ambito domestico: patate, uova, legno o carbone per la fornacella: bastava tener sollevato il lembo inferiore con una mano e il gioco era fatto.  Quando una mamma stava seduta, col bimbo piccolo appoggiato sulle gambe e abbracciato al seno, capitava che commentasse, compiaciuta: 'o tengo 'mporéa, stritto stritto a me. Quante volte ho sentito, da ragazzo, tra vicine di casa: "Ngiulì', aggio cuóto 'e pummarole, ne vuò'?". "Grazie, Marietté', ma comme m' 'e porto?". "T' 'e miette 'mpoléa". E il mantesino diventava subito cesto, paniere, scodella, scegliete voi.
Trovo anche un proverbio piemontese: "A sant'Andria o freido sciappa a pria", e uno genovese: "Pe sant'Andria u freidu u sciappa a pria". Il significato è lo stesso:  "A/Per sant'Andrea il freddo spacca la pietra".
Legati alla festa di sant'Andrea, in calendario il 30 novembre, esistono altri detti, che mettono per lo più la ricorrenza in rapporto con le condizioni climatiche: - A Sant'Andrea la neve è per la via; - Sant'Andrea porta o neve o bufera. E proprio perché fa freddo si pensa anche a rifocillarsi bene: - Per Sant'Andrea, ti levi da pranzo e ti metti a cena. Con lo sguardo già rivolto alle festività di fine anno: - Da Sant'Andrea, del maiale venticinque giorni a Natale.
Gira a gira, alla fine a rimetterci è sempre il povero porco. Capita a Natale, come pure a Pasqua.
© Sigismondo Nastri

sabato 26 novembre 2016

CHE SIA TORNATO IL FANTASMA DI PAOLO 'E CONCA?


A me ogni tanto torna a mente, quasi come un incubo, la buonanima di Paolo ‘e Conca. Specialmente quando sento pronunciare alla tv, o leggo sui giornali, numeri da capogiro. Anche in tempi di semplificazione, che hanno declassato la "storica" mille lire ("se potessi avere mille lire al mese", si cantava una volta) a pochi centesimi di euro. Come le cifre tirate in ballo da Matteo Renzi & C. in questi giorni di campagna elettorale. 
Ammacàro ca fosse tutto overo! Per ora, siamo nella fase delle promesse, dei buoni propositi: soltanto numeri. 
Di Paolo ‘e Conca mi resta impresso il ritratto che ne tracciò, da Parigi, il mio amico Franco Colavolpe sul suo blog: “Non veniva da nessuna parte e aveva scelto di vivere nelle strade di Amalfi. Si facevano supposizioni sulle sue origini, ma nessuno ha mai saputo la verità. Di sicuro c’era il nome, Paolo. Poi gli amalfitani hanno deciso che fosse originario di Conca e tutti hanno cominciato a chiamarlo ‘Paolo ‘e Conca’. [...] Di giorno prendeva posto, col suo sacco di juta contenente poveri effetti personali, in piazza Flavio Gioia, dove cominciava il suo impegno quotidiano. Con il gesso disegnava un cerchio che per lui rappresentava la terra. Poi prendeva dei chicchi di mais e li disponeva con un criterio tutto suo. Si concentrava su un particolare e cominciava a moltiplicare i chicchi per delle cifre astronomiche che davano risultati con parecchie dozzine di cifre. Era convinto che con i suoi calcoli era il solo a poter salvare il mondo. [...] Un giorno è sparito e anche il suo segreto se n’è andato con lui”.
Ricordo che noi ci mettevamo intorno a questo singolarissimo e misterioso personaggio, all'inizio dello stradone, dove c'era una volta l'orologio, e ne seguivamo ogni gesto, controllavamo la progressione dei numeri da capogiro segnati sul marciapiede senza capirci niente. Mi capita lo stesso in questa delicata fase della nostra vita politica e istituzionale. Non ci capisco più niente.
Sigismondo Nastri

MERCOLEDI' 30 NOVEMBRE, ALLA LIBRERIA FELTRINELLI DI SALERNO, LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO #FACCEDABIRRA DI ROBERTO PELLECCHIA, ANTONELLA PETITTI, SABRINA PRISCO

Non sono un bevitore abituale di birra. Tranne quando deve accompagnare la pizza. Mi è capitato di berne in Francia (alsaziane) e, soprattutto, in Belgio (trappiste e d'abbazia), dove vive mio fratello. Una volta me ne ha portate pure alcune bottiglie.
La birra è una delle più antiche bevande del mondo. Risale addirittura a 3500 anni fa, quando l’uomo, per caso o no, la ottenne dalla fermentazione, ritengo, di malto d’orzo.  Era usata largamente in Egitto e in Grecia. Anche a Roma.  La produzione su vasta scala è cominciata nel XV secolo in Germania e in Inghilterra. Nei paesi dell’Europa centrale e settentrionale resta la bevanda principale. Da noi, spero di non dire una sciocchezza, ha preso piede quando, nel dopoguerra, è stata associata alla pizza, tanto da formare con essa un binomio quasi inscindibile. 
Nell'Italia del sud, per tradizione, beviamo prevalentemente vino, dato che ne produciamo tanto. E buono! Con tutto il rispetto per William Shakespeare che scrive: “Un boccale di birra  è un pasto da re”.

Solo in tempi più recenti s'è avviata, con risultati eccellenti, la fabbricazione di birra artigianale in Campania. Aromatizzata: alla castagna, al farro, al miele, tanto per citare alcuni elementi del processo di lavorazione. 
Giusto, perciò, dedicarle un libro. Lo hanno fatto, benissimo (e non poteva essere diversamente), Roberto Pellecchia, Antonella Petitti, Sabrina Prisco, che mercoledì 30 novembre, alle ore 18.00, nella saletta della Libreria Feltrinelli a Salerno, presenteranno il loro libro #faccedabirra, edito da Officine Zephiro: una carrellata su storie, volti e luoghi dove nasce questa nuova eccellenza della nostra offerta gastronomica. Appuntamento da non perdere. Tanto più  che vi saranno - come sottolinea Roberto Pellecchia -  anche i titolari dei birrifici Il Chiostro e Agrado che racconteranno come si diventa birrai e faranno assaggiare le loro birre.
Sigismondo Nastri

UN PENSIERO PER FIDEL CASTRO

Io non ho nulla, nel modo di pensare, nel mio vissuto, che mi possa far ritenere un fan di Fidel Castro, morto questa notte all'età di novant'anni. 
Tuttavia l'ho sempre guardato con rispetto e ammirazione, riconoscendogli il merito di aver ridato - riscattandolo dalla subalternità al potere statunitense (l'Usa controllava a Cuba tutte le fonti energetiche ed economiche) - dignità al popolo cubano. 
E, questo, nonostante le minacce, le ritorsioni, l'embargo (giudicato, non da me, ma da istituzioni internazionali, un atto di genocidio).
Una dignità - quella del popolo cubano - ribadita nell'inno nazionale: ¡Al combate corred bayameses, / que la patria os contempla orgullosa; / no temáis una muerte gloriosa, / que morir por la patria es vivir! / En cadenas vivir es vivir / en afrenta y oprobio sumido. / Del clarín escuchad el sonido; / ¡a las armas, valientes, corred! (Alla lotta correte bayamesi, / che la patria vi guarda orgogliosa; / non temete una morte gloriosa, / ché morire per la patria è vivere! / Vivere in catene è vivere / sottomessi all'affronto e alla riprovazione. / Ascoltate il suono del bugle:  / alle armi, valorosi, correte!).

RICORRE IN QUESTI GIORNI IL SETTIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI MARIO LAUDANO. PROPOSTA AL COMUNE DI AMALFI PERCHE' VENGA INTITOLATA A LUI LA PALESTRA DI VETTICA

Ho recuperato su internet, dall'archivio della Gazzetta dello sport, questo articolo di Luigi Garlando, pubblicato nell'edizione del 3 dicembre 2009, dopo la morte di Mario Laudano, che in quel giornale lavorava da più di quarant’anni:
Archivio Storico
Addio «Babbo» Laudano Cantò il Mago e la serie C
E' scomparso ieri Mario Laudano, giornalista della Gazzetta dello Sport dal 1968. Nato ad Amalfi (Salerno) il primo novembre 1933, viveva a Milano dal 1960. Ha collaborato con Milaninter, il Corriere Lombardo, Sport Illustrato e con la Rai , prima di entrare in Gazzetta, dove si occupava di calcio. Domenica a Cremona il suo ultimo servizio.
LUIGI GARLANDO MILANO
Mario Laudano
foto tratta da guide.supereva.it
Babbo, il soprannome di Mario Laudano, nacque da un collega più giovane che gli assomigliava, stessi baffetti da omino Bialetti, ma negli anni è diventato altro, riconoscenza per un uomo che viveva la redazione con premure paterne. Verso sera imbandiva una scrivania di provole, soppressata e pastiera per spiegare ai più giovani che ha ancora senso un approccio umano al mestiere, anche se crisi e riduzioni d' organico suggeriscono cinismo darwiniano. Il Babbo, in pensione dal 1999, non ha mai smesso di sforbiciare e incollare tabellini e classifiche su quaderni che consultiamo tutti. Li trovavamo sempre pronti, come i bambini la colazione quando si alzano. Laudano si è sentito male all' ora di pranzo in Gazzetta, esattamente come Candido Cannavò. Gemelli nell' attaccamento passionale al proprio mestiere e al proprio giornale. Per il Babbo, che non aveva moglie e figli, la Gazzetta, ancora di più, aveva il senso di una casa. Mago Laudano diventò interista da piccolo vedendo volare il portiere Angelo Franzosi sui giornali illustrati. Gli amici di Amalfi lo chiamavano Franzosi. Nel ' 62, quando sembrava che Moratti stesse per scaricare Herrera, Laudano promosse una crociata pro-Mago su Milaninter, tanto che fu convocato dal d.s. Allodi, che forse aveva in canna Fabbri. Per questo il Babbo ha sempre covato orgoglio da apostolo della Grande Inter, alla quale dedicò un racconto di fantascienza: Mazzola contro gli extraterrestri di Zuzzurra. Laudano ha firmato anche una commedia in 5 atti: «Mio figlio calciatore», che il compaesano Gaetano Afeltra, nella prefazione, definisce «un canto d' amore» e loda: «Situazioni costruite con abilità spettacolare». Gatto Il Babbo, da buon campano, amava il bello scrivere, il periodo arioso. Non ci rinunciò neppure quando il mestiere lo portò ad occuparsi di Serie C. Altra medaglia: trattava il Lumezzane come la Grande Inter. Stessa passione, stessa cura. Epiche le sue lotte per gli spazi: «Ho scritto troppo? Perché, una partita di C dura meno di una di A?». Se Arrigo Sacchi un giorno gli disse: «Caro Laudano, finalmente esco dalle tue pagine!», per salutare il balzo nel grande calcio, il Babbo non si sentiva in prigione e provava a convincerci che quel terzino del Pergocrema meritava la Nazionale. Chi è passato sotto il suo giudizio, come Galliani ai tempi del Monza, ne ha grande stima, perché ne ha assaggiato la competenza. Il Babbo era geniale anche nella compilazione della schedina che proponeva ai lettori della Gazzetta. Appallottolava i segni 1, 2 e X, poi metteva il suo gatto sul tavolo e gli lasciava scegliere il biglietto. Una volta ha fatto 12. Violini Pochi giorni fa, il Babbo ha incrociato Moratti in via Bigli che portava a spasso il cane e gli ha raccontato di quella volta che difese il Mago. Ha sofferto per l' Inter di Barcellona, l' avrebbe voluta coraggiosa come su Zuzzurra. Domenica Laudano ha raccontato Cremonese-Novara. Il suo ultimo attacco: «Novara da toccata e fuga nella città di Stradivari». A rileggerlo ora, sembra il presagio di un addio: toccata e fuga. Per Mario, la sua umanità, la sua gentilezza, la sua classe, suonino tutti i violini del mondo. Ciao, Babbo.
Garlando Luigi© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ieri, a Cava de’ Tirreni, sono stato alla presentazione del libro Calcio d’autore del mio amico e collega Antonio Donadio – collega nell’insegnamento all’Ipc di Amalfi -, edito da la Scuola.  Antonio, cavese doc, bergamasco d’adozione, è poeta, giornalista, scrittore, critico letterario, traduttore di successo. Ma non è di lui che voglio parlare qui.
Mentre, inframmezzate dall’interessante dialogo tra l’autore e Franco Bruno Vitolo, che conduceva l’incontro in modo vivace e stimolante, si succedevano le letture dal libro, io pensavo proprio a lui, Mario Laudano, del quale fra qualche giorno ricorrerà il settimo anniversario della morte. Pensavo a lui per due motivi: perché allo sport del pallone aveva dedicato l’intera vita, da quando a scuola si cimentava a emulare sui fogli dei quaderni le “disegnate” di Silva che allora illustravano le partite sul settimanale Calcio illustrato, giocava a comporre fantasiose “formazioni” di dei dell’olimpo, eroi omerici, poeti o scultori del mondo greco-romano, a quando, negli anni della maturità, diede alle stampe un bellissimo libro, Mio figlio calciatore, regalatomi con un’affettuosa dedica, che ebbi pure modo di recensire.
Mi domandavo, ieri sera, mentre ascoltavo la lettura di frammenti di liriche di Umberto Saba, Pier Paolo Pasolini, Mario Luzi, Alfonso Gatto, o di brani di Giovanni Arpino, Gianni Brera, eccetera, che fanno da collante – e da struttura portante – al bel racconto intessuto da Antonio Donadio sulla evoluzione del calcio in Italia, e continuo a domandarmi stamattina a mente serena: perché Amalfi non ha fatto nulla per Mario Laudano?
Alla sua morte, sette anni fa, formulai la proposta – rimasta inascoltata - di intitolargli la palestra a Vettica. La rilancio all'amministrazione guidata da Daniele Milano.
Sigismondo Nastri

giovedì 24 novembre 2016

"IL MOSTO CHE DIVENTA VINO": DOMENICA 27 NOVEMBRE, A TRAMONTI

A Tramonti, nella splendida cornice della Cappella Rupestre, domenica 27 novembre, alle ore 10.30, è in programma l’undicesima edizione de “Il Mosto che diventa vino”, promossa dall'Associazione Gete, nata dall'impegno di ventisei soci - coltivatori e appassionati -, con l’intento di valorizzare il patrimonio vitivinicolo locale, in particolare il vitigno autoctono Tintore. Sono previste visite agli storici vigneti ultracentenari, degustazioni di prodotti tipici e dei vini Doc della Costa d'Amalfi.
Quest’anno il tema dell’evento sarà “La vita rurale tra operosità e fede”. Nell’occasione sarà presentata la ristampa anastatica del libro “Tramonti dalle origini”, quarto volume dell’Antologia di Tramonti, un tributo a Padre Salvatore Fierro, frate francescano, nel centenario della nascita.

Il convegno inizierà con i saluti del sindaco, Antonio Giordano, e del presidente dell’Associazione Gete, Domenico Taiani. Seguirà una tavola rotonda con gli interventi di: Raffaele Ferraioli, coordinatore regionale dell'Associazione Città del Vino; Donato Sarno, in rappresentanza del Centro di Cultura e Storia Amalfitana; Alfonso Tortora, docente di Storia moderna presso l’Università degli Studi di Salerno; Padre Giuseppe Iandiorio, ministro provinciale Ofm della Provincia Religiosa Salernitano-Lucana; Fra Domenico Dolgetta, superiore del Convento San Francesco di Tramonti-Maiori. Moderatore, il giornalista Mario Amodio.

mercoledì 23 novembre 2016

A PROPOSITO DELLE FILASTROCCHE NELLE VETRINE DI UN NEGOZIO DI LUSSO A SALERNO

L’amico (carissimo) e collega (bravissimo) Gabriele Bojano ha scritto stamane su Facebook: “IL MARKETING SENZA DECENZA Mettere in vetrina detti e proverbi della nostra cultura popolare è un'operazione innovativa ma molto rischiosa. Si sottolinea infatti troppo in evidenza il divario con la merce esposta, dai prezzi proibitivi. Uno schiaffo sonoro alla miseria travestito da marketing, il classico esempio di pane per chi non ha i denti…”.
Una volta tanto, mi scuserà, non sono d’accordo con lui.
Le filastrocche riprodotte nelle vetrine sono quelle che io ho pubblicato, giorno dopo giorno, su Facebook. Recuperandole (nella loro autenticità: non le ho certo inventate, si trovano dappertutto, nei libri e sul web, per lo più in modo approssimativo o scritte male) soprattutto dalla memoria personale, familiare, dei tanti amici che mi hanno dato una mano. C’è stato un confronto, quasi quotidiano, in particolare con persone non giovanissime, che sono cresciute con quelle filastrocche, che con quelle cónte ci hanno giocato. Come si usava ai miei tempi. Sto facendo ora la stessa cosa postando il “proverbio del giorno”.
Qualcuno ha riconosciuto che le filastrocche sono “riscritte” in un napoletano corretto. Questo mi dà soddisfazione. E' da una vita che mi batto per la lingua napoletana, reclamando che sia tutelata da una istituzione ad hoc, tipo Accademia della Crusca. I testi delle canzoni di oggi mi fanno venire i brividi (e tanta rabbia). Compresa quella “appocundria” – che dovrebbe essere ‘a pocundria - di Pino Daniele.
Quanto all'utilizzo di queste filastrocche – prese dal mio blog: una cosa che mi ha fatto piacere, tanto più che s’è avuta la cortesia di evidenziarlo - per l'allestimento delle vetrine di un negozio di abbigliamento di lusso, Brancaccio (nel quale, confesso, non sono mai entrato: non è il mio genere), dovuto a  professionisti seri, intelligenti e capaci del mondo della grafica e della comunicazione, che conosco e stimo, non mi pare che ci sia niente di scandaloso.
Bojano parla di "uno schiaffo sonoro alla miseria travestito da marketing" e in questo ha ragione. Ma è tipico della società di oggi. Basta prestare attenzione a certi messaggi trasmessi dalla tv e alla pubblicità sui giornali. Io sono un abituale lettore del Corriere della sera: non è la stessa cosa quando, sfogliando i supplementi che mi si obbliga a ritirare dal giornalaio, mi trovo sotto gli occhi orologi di marca, costosissimi, macchine di lusso, champagne e caviale, abiti firmati da grandi stilisti che non potrò mai acquistare?
La pubblicità è fatta per attirare l'attenzione, la curiosità della gente: se ci si riesce con una vetrina vuol dire che s'è raggiunto lo scopo. Io credo che - proprio con la mediazione delle filastrocche - sia stata compiuta anche un'operazione culturale.
“La pubblicità – sostiene Luis Bassat, noto creativo catalano - emoziona, innamora, seduce. Suscita emozioni. Un chilo di pubblicità può contenere 999 grammi di razionalità, ma brillerà e si distinguerà per il suo grammo di follia”. Se fa anche discutere, ha raggiunto lo scopo.
Sigismondo Nastri