domenica 30 ottobre 2016

MEMORIE DI UN OTTUAGENARIO. MARIANGELA, L'ANGELO CUSTODE DELLA MIA FAMIGLIA

Un frullo d’ali
come di farfalla
e una gioia
sofferta
lungamente sognata
è svanita

per sempre.

(16 gennaio 1975)

Sono stato al cimitero di Salerno. Ho visto donne e uomini che lucidavano tombe. Ho visto, nei vasi, fiori freschi mischiati con fiori di plastica. 

Non mi piacciono i fiori recisi, quantunque veri, come non piacevano a mia madre; figuriamoci quelli finti, di plastica, cineserie oggi di moda. 
Mia madre amava le piante, le considerava alla stregua di esseri viventi. Staccarne un ramo, coglierne un fiore era come ferirle. E' così che la penso anch'io.

Non sono un frequentatore di cimiteri, ci vado giusto una volta all'anno, in questo periodo  - fine ottobre, inizio novembre - dedicato alla memoria dei nostri cari, che ci hanno preceduti nell'attraversamento dell'antro oscuro che immette all'aldilà. Che ci conduce - lo spero ardentemente - al cospetto di Dio, della sua misericordia: col nostro vissuto, con le nostre colpe, le nostre debolezze, i nostri difetti, i nostri dubbi a volte angosciosi. Può darsi anche con qualche merito, chissà.
Non credo che nelle tombe, nei loculi, ci siano persone. Ci sono soltanto  mucchi di ossa. Me ne resi conto quando assistetti all'esumazione dei poveri resti di mio padre e mia madre.
Da cattolico credo nell'aldilà, sono convinto che la preghiera valga molto più di una visita al cimitero. Che, solitamente, non mi dà emozioni. 
I camposanti non sono luoghi tetri, sono ben tenuti, hanno siepi ordinate, folti viali alberati. Camminare tra le tombe non mi dà emozioni, dicevo. Anche quando mi trovo davanti foto e nomi di persone che ho conosciute. 
Il pensiero della morte non mi crea turbamento. Ci sono preparato. La intendo come il naturale punto di arrivo di un arcobaleno che non si capisce dove finisce.  
Non temo la morte. “Io sono la risurrezione e la vita - è il messaggio che ci viene da Gesà Cristo  (Giov. 11:25-26) -; chi crede in me, anche se muore, vivrà; e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?”. Io lo credo.
Sono stato al cimitero di Salerno, ripeto. Aggiungo che mi sono commosso - io che, come ho dichiarato, non provo emozioni in queste visite "obbligate" dalla tradizione, dalla consuetudine, da una religiosità "diversa" dalla mia -  soltanto quando mi sono accostato alla lastra che ricorda Mariangela, la mia figlioletta che, in un giorno terribile, mi passò davanti - son trascorsi quarantuno anni da allora - in un corridoio dell'ospedale di Via Vernieri a Salerno, con lo sguardo avido di curiosità, il colorito roseo, come tutti i bimbi appena natiLa ritrovai l'indomani, nel reparto pediatrico (allora sul lungomare, a Pastena), deposta in una scatola di cartone. Senza rispetto, senza umanità.  Senza che nessuno si fosse sentito in dovere di avvertirmi (e non ci sarebbe voluto molto: ero in via Vernieri, al capezzale di mia moglie ammalata). 
La fotografai: bella, nel pallore della morte, pur con gli occhi serrati, aveva le sembianze di un angelo. 
L'angelo custode della mia famiglia.
© Sigismondo Nastri

sabato 22 ottobre 2016

CUCINA PAESANA DELLA COSTA D'AMALFI: 'A SCAROLA 'MBUTTUNATA


Non conosco Giuliano Donatantonio (da poco, amico su Facebook), o forse lo conosco – essendo lui di Minori – e non me ne ricordo. E non conosco neppure la sua cucina, se non attraverso le fotografie che regolarmente pubblica, con le relative annotazioni.
Tutto ciò che attiene alla gastronomia "nostrana" mi ha sempre interessato. Per anni ho raccolto da anziane signore, nei vari paesi della costiera, ricette "caserecce". Alcune le ho pubblicate su questo blog.
Non conosco, dicevo, la cucina di Donatantonio, chef del ristorante Pineta 1903 a Maiori, anche perché alla mia età devo stare attento a quello che mangio e le pietanze, si sa, più sono buone più creano problemi alla salute di un ottuagenario. Pazienza!
Conseguentemente, evito di andare per ristoranti. 
Mi basta però la frase “io amo il mio lavoro”, con la quale egli conclude ogni suo post, per darmi la garanzia di una elevata professionalità. "L'unico modo di fare un ottimo lavoro - cito Steve Jobs - è amare quello che fai".
Oggi Donatantonio ha accennato alla scarola ‘mbuttunata (imbottita) -, che era uno dei punti fermi della nostra tradizione culinaria, più contadina che marinara. Ad Amalfi si diceva: scarola fràceta, perché veniva messa a macerare, ripulendola poi delle foglie esterne “marcite” prima di lavarla ben bene, imbottirla (come? lo ha scritto già Donatantonio: acciughe, uva passa, pinoli, aglio, olive e pecorino. Una volta, se non ricordo male, anche capperi e pane raffermo,"spugnato" e sbriciolato) e metterla a cuocere in tegame con olio abbondante fino a farla leggermente "arrosolare" da ogni lato. Questo trattamento la rendeva tenera e saporita. Gaetano Afeltra alla scarola fràceta ‘mbuttunata ha dedicato uno splendido racconto. Riportarla agli onori del menu è una cosa della quale va dato merito allo chef. Come gli va dato merito dell’impiego, nelle sue preparazioni, di prodotti tipici del territorio: l’omologazione di gusti e sapori è uno dei mali del nostro tempo.


© Sigismondo Nastri

GLI OTTANT'ANNI DI PIETRO FALIVENA, ARTISTA DI RAFFINATA SENSIBILITA'

Pietro Falivena, pittore di raffinata sensibilità,  compie oggi ottant’anni. Speravo di incontrarlo stamattina, come a volte mi capita, nella bottega-studio di Adriano Paolelli, abituale luogo di intrattenimento e di discussione. Non l’ho visto. E, quindi, gli auguri glieli faccio qui, in questo mio piccolo spazio. Anzi, glieli rinnovo, dato che già stanotte gli ho mandato un sms che spero abbia ricevuto.
Lo sguardo di Pietro Falivena
colto dalla matita di Adriano Paolelli
Paolelli, che ha la straordinaria capacità di cogliere delle persone i pensieri, i sentimenti, oltre che i tratti somatici,  ha voluto ricordare la ricorrenza con un “ritratto” particolare di Pietro, che ne mostra solo gli occhi: uno sguardo vivo e penetrante, avido di conoscenza, come deve essere lo sguardo di un artista.
Ottant’anni sono tanti, a contarli (io vado per ottantadue, ormai), ma in fondo non sono che venti moltiplicati per quattro. E se uno non va per il sottile, se non è pignolo, riesce a convincersi che 80 è cosa ben diversa da 20 x 4:  vent’anni, corrispondenti a quelli della prima giovinezza, che si rigenerano e si rinnovano, quattro o cinque volte.  Solo una illusione? E che fa? Anche le illusioni, si sa, aiutano a vivere. 
Adriano Paolelli: ritratto di Pietro Falivena
In fondo, voglio dire, l’età che ci portiamo addosso non sempre è quella indicata sulla nostra carta d’identità, ma quella evidenziata dalla nostra voglia di vivere, di fare, dalla nostra gioia (nonostante tutto quel che ci gira intorno), dal nostro entusiasmo. 
Stamattina, sul quotidiano la Città, Pietro, stimolato da un bravissimo giornalista, Paolo Romano, si è raccontato. 
Ha raccontato i luoghi dell'infanzia, il primo viaggio in treno (lui, figlio di capotreno, ammesso nella locomotrice), i punti di riferimento culturali nella Salerno del dopoguerra, ricca di fermenti, di iniziative, bramosa di sapere. Ha ricordato i suoi maestri, Panzini, Nicoletti, Stavolone. Ma soprattutto si è raccontato, spiegando la genesi delle sue “carte perse”, delle sue “carte volanti”, delle sue "cartoline dipinte" che spedisce agli amici in occasione delle feste.  Se gli posso dare un suggerimento, è questo: lasci stare il passato, destinato a diventare memoria, e anche il presente, che è solo - chiedo scusa per l'autocitazione - "il battito d’ali d’un passerotto". Guardi avanti, elabori progetti per il futuro.  A Paolo Romano ha dichiarato che gli piacerebbe esporre le sue “carte colorate, circa 50 pezzi inediti, pastelli a olio fatti su carta tipografica”. Sarebbe una bella cosa. Lo si faccia. Ancora tanti auguri!
Sigismondo Nastri

venerdì 21 ottobre 2016

IL TERMINAL DELLA SITA NEL "DEMANIO" DI MAIORI? LE RAGIONI DEL MIO NO

Innanzitutto, una precisazione. Sto fuori dai giochi della politica locale. Scrivo quello che penso, e ragiono solo con la mia testa, senza lasciarmi condizionare dai manifesti, dai proclami, da querelle nelle quali non voglio minimamente entrare. 
Ed ecco il mio pensiero.
In un tempo in cui si chiede di restituire vivibilità ai centri abitati, non riesco a capire perché l'amministrazione comunale di Maiori si va ad assumere un provvedimento suicida - la collocazione del Terminal Bus della Sita nel "Demanio" - , che renderà il centro abitato ancora più caotico, ingolfato dal traffico, invivibile. Già il traffico pesante che c'è - sul quale non credo si sia mai fatta una indagine statistica, né una misurazione delle vibrazioni indotte sugli edifici a fronte strada - fa tremare le case, mette in pericolo l'incolumità dei pedoni finanche sulle strisce pedonali (ved. san Pietro, san Domenico, Casa Imperato e Casa Mannini, nonostante il semaforo), figuriamoci poi! 
Maiori, dall'inizio della ricostruzione post-alluvione del 1954 , s'è caratterizzata per tutta una serie di errori che ne hanno compromesso un armonico e ordinato sviluppo: dal tracciato della Via Nuova Chiunzi - che avrebbe dovuto evitare di intaccare il tessuto urbano, e lo si poteva fare - alle case popolari realizzate a ridosso del lungomare, dov'erano gli orti, fino alla distruzione dell'ultimo fazzoletto di verde per costruire la caserma dei carabinieri e l'orribile ufficio postale. 
Maiori, prima di quel tragico evento, era famosa per il clima ideale, grazie alla ricchezza di vegetazione, anche in piena calura estiva. Ora tutto è cambiato. Vedo che si continua in una sorta di raptus distruttivo e mi dispiace. Oltretutto - mi chiedo, e chiedo a chi di competenza (Autorità di bacino, ecc.), sperando in una risposta -, intasare l'area del "Demanio" - già interessata a calamità naturali -  non comporta rischi sotto l'aspetto idrogeologico?
Sigismondo Nastri

STASERA AD AMALFI, DOMANI SERA A CAVA DE' TIRRENI: DUE VEGLIE MISSIONARIE SUL TEMA MISERICORDIA PRESIEDUTE DALL'ARCIVESCOVO MONS. SORICELLI


Stasera (venerdì, ore 19.00) nella cattedrale di Amalfi, domani sera (sabato, ore 19.30) nella concattedrale di Cava de' Tirreni, si terrà il Giubileo dei catechisti e animatori missionari della nostra arcidiocesi. 
Tema : "Misericordiosi verso gli ultimi", nel solco tracciato da papa Francesco quando ha indetto questo evento straordinario che si avvia a conclusione. Le veglie missionarie saranno presiedute dall'arcivescovo mons. Orazio Soricelli.
Non sono un catechista, né un animatore missionario, ma - da credente, devoto, osservante - sono attento alle iniziative della Chiesa. Spero di esserci (almeno a uno dei due appuntamenti), se le circostanze me lo consentiranno.
Ringrazio intanto Mons. Soricelli per la notizia e per l'invito, che non è rivolto solo a me, ma, attraverso questo canale di comunicazione, a tutti coloro che si riconoscono nell'impegno - sottolineato dal pontefice - di promuovere una nuova evangelizzazione, "tappa del cammino della Chiesa nella sua missione di portare a ogni persona il vangelo della Misericordia".

IERI, IL PREMIO DI GIORNALISMO "MIMMO CASTELLANO" A CASTEL SAN GIORGIO: NOTA A MARGINE

Ieri pomeriggio, grazie alla disponibilità dell’amico  Gennaro Pane, che mi ha dato un passaggio con l’auto, m’è stato possibile partecipare, nella accogliente sala consiliare del Comune di Castel San Giorgio, alla sesta edizione del Premio “Mimmo Castellano” organizzata dall’Associazione della Stampa Campania Valle del Sarno. Ho potuto constatare, attraverso le numerose testimonianze che si sono succedute al microfono, presenti le figlie e un nipote, che il ricordo di Mimmo continua a essere vivo tra i colleghi, che è ben recepito dai giovani che ora si affacciano alla professione, che continua a fare da stimolo all’azione di quanti operano ai vari livelli in rappresentanza della categoria. Salvatore Campitiello, anima e guida dell’Associazione della Stampa Valle del Sarno e punto di riferimento dei pubblicisti, ha annunciato che è quasi pronto il volume che raccoglie testimonianze di amici e colleghi su Mimmo Castellano. Ci sarà anche la mia. Alla presentazione del volume, che avverrà a Napoli certamente prima della fine dell’anno, farò di tutto per esserci.
A Castel San Giorgio ha ritrovato amici che non incontravo da tempo. Primi fra tutti, Umberto Belpedio e consorte.
Mi sono commosso quando, alla consegna dei premi alla memoria, sono state rievocate le figure di Vera De Luca, Ugo Di Pace, Francesco Fasolino e Giancarlo Siani. 
Mi sono emozionato al racconto di Federica Angeli, costretta a vivere sotto scorta per le sue inchieste sulla mafia del litorale romano. E a quello di padre Maurizio Patriciello, che nella cosiddetta Terra dei fuochi lotta per difendere la legalità e i sacrosanti diritti alla salute degli abitanti.
Voglio qui esprimere il più vivo compiacimento all’amico Salvatore Campitiello e a quanti collaborano con lui per una iniziativa che sta acquistando, anno dopo anno (siamo già alla sesta edizione), sempre maggiore rilievo. Tanto da spingere a venire a Castel San Giorgio i maggiori rappresentanti della categoria a livello nazionale, quali il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine Enzo Iacopino, il vice presidente Santino Franchina, il presidente del Movimento unitario dei giornalisti Mimmo Falco, insieme con l'attivissimo presidente del Consiglio dell’Ordine della Campania Ottavio Lucarelli (al quale si deve la organizzazione dei numerosi corsi di formazione  sul territorio salernitano).

Sigismondo Nastri

mercoledì 19 ottobre 2016

I CINQUANT'ANNI (+1) DI UNO STORICO RISTORANTE AMALFITANO: "CIELO MARE TERRA"


Leggo sul Vescovado e su Positanonews che "Ciccio Cielo Mare Terra", ad Amalfi (fora ‘o Baglio, a Vettica, lungo la statale per Positano), festeggerà sabato i 50 anni + 1 di attività. Che sono tanti. Credo che nel conto manchi la gestione precedente del vecchio Ciccio, dove noi ragazzi squattrinati andavamo la sera a mangiare del biscotto di grano “spugnato”, condito con acciughe deliscate e dissalate, e poi melanzane sott’olio, soppressate, caciocavallo. Il tutto accompagnato da un gradevolissimo vinello locale.
Allora era semplicemente “Ciccio”. Diventò, naturalmente, “Cielo Mare Terra” perché proprio lì, accanto al cancello d’ingresso, c’era un tabellone pubblicitario della Fiat con quelle tre magiche parole. 
Se ho capito bene, però, il computo dei 50 anni + 1 parte dalla “invenzione” degli spaghetti al cartoccio da parte di Salvatore Cavaliere quando assunse le redini del ristorante, lo rinnovò e lo rilanciò alla grande. Un piatto sfizioso, ricco di profumi e sapori, che poi ha fatto epoca, entrando nella lista delle pietanze di tanti altri locali. Senza quel tocco in più, forse, che solo qui si può trovare, grazie alla magia del luogo, proiettato sulla torre che fu di Carlo Ponti, e all’abilità dello chef. 
Auguri, dunque, per la ricorrenza. Ma soprattutto auguri affinché "Ciccio Cielo Mare Terra" continui a essere, per tantissimo tempo ancora (altri cinquant’anni e più), punto di riferimento irrinunciabile di gastronomi e buongustai.

martedì 18 ottobre 2016

GIOVEDI' 20 OTTOBRE, A CASTEL SAN GIORGIO, IL PREMIO DI GIORNALISMO INTITOLATO A MIMMO CASTELLANO

Giovedì 20 ottobre, alle ore sedici, nell’aula consiliare del Comune di Castel San Giorgio, si svolgerà  la sesta edizione del Premio giornalistico intitolato a Mimmo Castellano, che fu instancabile vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti della Campania e segretario generale aggiunto della Federazione Nazionale della Stampa Italiana.
Mimmo Castellano
La manifestazione è organizzata dall’Associazione della Stampa Campania Valle del Sarno, con il patrocinio del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Campania, del Movimento Unitario Giornalisti, del Comune di Castel San Giorgio e della Provincia di Salerno.
Il riconoscimento, destinato ad autorevoli colleghi che nel corso della loro carriera si sono particolarmente distinti nel campo dell’informazione nazionale e locale, sarà attribuito quest’anno a: Gianfranco Coppola, redattore TGR Campania, e Gaetano Imparato, redattore de La Gazzetta dello Sport (sezione sport); Aurelio Musi, editorialista delle pagine napoletane de la Repubblica (sezione cultura); padre Maurizio Patriciello, collaboratore di Avvenire (sezione impegno sociale); Federica Angeli, redattrice de la Repubblica (sezione inchieste); Attilio Raimondi, membro del Cnog, Fnsi, Inpgi, e Vania De Luca, di RaiNews24 e presidente UCSI (sezione rappresentanti di categoria). Un premio alla carriera andrà a Gennaro Sangiuliano, vicedirettore Rai Tg1.
Saranno, inoltre conferiti, premi alla memoria a Vera De Luca, Ugo Di Pace, Francesco Fasolino e Giancarlo Siani.
La riflessione prevalente e caratterizzante di questa sesta edizione sarà incentrata sulla deontologia professionale e sulle continue intimidazioni, minacce, discriminazioni, querele temerarie, esclusioni arbitrarie, aggressioni a giornalisti e a operatori dell’informazione la cui escalation è fortemente preoccupante.
Alla manifestazione, oltre a diversi consiglieri nazionali e regionali dell'Ordine dei giornalisti, saranno presenti: il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino;    il presidente del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Campania, Ottavio Lucarelli; il presidente del Movimento Unitario dei Giornalisti, Mimmo Falco; il vicepresidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Santino Franchina.
In programma anche intermezzi musicali a cura di Marzia De Nardo.

lunedì 17 ottobre 2016

MEMORIE DI UN OTTUAGENARIO: IL PASSAGGIO IN AUTO DEL SENEGALESE

Una volta mi capitò di attardarmi più del solito nella redazione del giornale al quale collaboravo, situata nel centro di Salerno, e solo quando mi ritrovai in strada, a notte fonda, mi resi conto che avevano già smesso di circolare i  mezzi pubblici di trasporto. Stavo sul bordo del marciapiedi,  di fronte al palazzo di Città, cercando di recuperare il coraggio di mettermi in cammino, a piedi, per rientrare a casa, nel quartiere Torrione. In giro non c'erano segni di vita, a parte il traffico, pure scarso, che scorreva velocemente.
Un extracomunitario, senegalese, si fermò con la sua vettura sgangherata - una vecchia Peugeot -,  mi chiese in francese se avevo bisogno di aiuto, si rese disponibile a darmi un passaggio. Io accettai, facendo di necessità virtù. Però in cuor mio ero preoccupato e lo davo a vedere.
All’arrivo non volle assolutamente essere ricompensato. Dopo di che non l'ho più visto e sentito. Non ho mai saputo il suo nome né lui ha saputo il mio.
Nel breve tratto di lungomare, fino all’ex ostello della gioventù, parlammo di un mitico presidente del Senegal: Léopold Sedar Senghor, ideologo della négritude, poeta, accademico di Francia. Era l’unica cosa che conoscevo di quel paese africano, affacciato sull’Oceano Atlantico, e me ne vergognavo. Capivo che l'extracomunitario, costretto a Salerno a fare i mestieri più disparati, forse il bracciante agricolo o il venditore ambulante, aveva un livello d'istruzione elevato.
Sotto tutte le latitudini ci sono i buoni e i cattivi: non conta da dove veniamo, dove viviamo, che lingua parliamo, qual è il colore della nostra pelle. Guai a fare di ogni erba un fascio.
© Sigismondo Nastri

venerdì 14 ottobre 2016

IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA A BOB DYLAN: NOTERELLA A MARGINE

Come mothers and fathers                           Venite madri e padri

Throughout the land                                       da tutto il paese
And don't criticize                                            e non criticate
What you can't understand.                          quello che capire non potete.
                             Bob Dylan
«Quando Dylan fu proposto per il Nobel dal docente americano Gordon Ball - leggo sul Corriere della sera -, Fernanda Pivano [non un pinco pallino qualsiasi, aggiungo io] commentò la notizia con entusiasmo sul Corriere del 29 settembre 1996 [cioè, sottolineo, vent'anni fa]. Definì il cantautore "un grandissimo poeta, un menestrello che ha cantato i mali del mondo e li ha rivelati alle coscienze". E concluse: "Nessuno, secondo me, merita questo Nobel quanto il nostro Bob Dylan"».
A tutti i santoni, paludati, accademici, frequentatori di salotti letterari, che storcono il naso, dico: ma andate a farvi friggere! Il mondo va avanti, voi siete fuori dal tempo!
Bella, condivisibile la dichiarazione di Mogol, il più noto "paroliere" italiano. La traggo ancora dal Corriere, che resta il mio quotidiano preferito: «Questo Nobel dimostra che la poesia per canzone [ovvio, quando è poesia, e raramente accade nel mondo della canzone italiana], cioè abbinata alla musica, non vale meno della poesia pura... C'è un filo che unisce la cultura popolare di ogni tempo, un filo che parte da Dante Alighieri e arriva da Dylan. Montale e Dylan hanno assolutamente pari dignità».
Il linguista Tullio De Mauro dice, da parte sua, che «è giusto allargare i confini del Nobel dalla letteratura accademica, patinata, nobile a quella non meno nobile ma di grande circolazione e popolarità». E' quel che penso anche io.
C'è poco da scandalizzarsi. Evviva!

mercoledì 12 ottobre 2016

LA PRESENTAZIONE A SALERNO DEL ROMANZO "IN VIAGGIO CON L'OMBRA" DI TINA CERASO E ROBERTO PELLECCHIA

Roberto Pellecchia e Antonella Petitti
(foto tratta dalla pagina Facebook di Roberto Pellecchia)
Ho in mano il libro “In viaggio con l’ombra” di Tina Ceraso e Roberto Pellecchia, edito da David and Matthaus, ancora fresco di stampa. Non l’ho letto, avendolo ritirato appena ieri sera alla libreria Feltrinelli di Salerno dopo la presentazione. Mi riferisco, perciò, a ciò che ho ascoltato in quella sede dalla voce dell’autore (la Ceraso non è potuta intervenire per altri impegni professionali) e della collega Antonella Petitti che ne ha delineato con garbo e con estrema chiarezza la trama, anche stimolando lo stesso Pellecchia a scendere in qualche utile dettaglio, e ne ha letto piccoli significativi brani. Interessanti per tratteggiare la figura dei protagonisti, mettere a fuoco le situazioni, ma anche – ed è la cosa che più mi ha colpito – per evidenziare una scrittura che m'è parsa di una nitidezza esemplare, accattivante sia nella descrizione dei luoghi sia quando ricorre - cioè spesso,  è così che una scrittura non si appiattisce - al discorso diretto.  
Non conosco Tina Ceraso. Conosco abbastanza bene Roberto Pellecchia per poter dire che, nello scrivere (e nel descrivere. Il riferimento qui va alle sue splendide “guide”: Le 100 spiagge della Costiera amalfitana; Spiagge, cale e borghi della costa del Cilento; Le 100 meraviglie del Cilento e Vallo di Diano, Segreti e meraviglie della costa di Sorrento), è rigoroso almeno quanto lo è nell’esercizio della professione medica. Per la quale è stimato e apprezzato da tutti.
Un particolare del pubblico nella saletta
della Libreria Feltrinelli di Salerno
(foto tratta dal profilo Facebook di Roberto Pellecchia)
“In viaggio con l’ombra” è un romanzo ambientato in Patagonia, al quale egli - viaggiatore nato, ormai incallito (cioè: cittadino del mondo al quale ogni luogo che non sia “la prossima destinazione” sta stretto) - cominciò a pensare già quando ebbe modo di compiere un lungo viaggio in quella remota regione. Poi l’incontro, non so se casuale o voluto, con Tina Ceraso, giovane dirigente d’impresa di origine cilentana, appassionata di letteratura e poesia, ha trasformato l’idea in un progetto concreto. Nella stesura del libro, si sono alternati: i capitoli dispari lei, quelli pari lui. Ne è venuta fuori, immagino, una storia con sfaccettature diverse, dato che, da che mondo è mondo, c’è una bella differenza tra la sensibilità di un uomo e quella di una donna.
Di più, al momento, non so dire. Ho in mano il libro, intonso (per mo' di dire, perché ha una rifilatura perfetta).  Mi godo la suggestiva copertina, la dedica affettuosa di Roberto. Il protagonista di “In viaggio con l’ombra” - cito dalla ribaltina -, “Gennaro Rinaldi, in arte Enrico Morgano, scrittore in partenza per l’Argentina, versa in una crisi talmente profonda che il suo editore decide di affiancargli una ghostwriter, Francesca Apoldio. I due si incontrano fugacemente in aeroporto e si accordano per una collaborazione via e-mail. Francesca, convinta di aver riconosciuto in Morgano l’amore della sua giovinezza, decide di inseguirlo in Argentina di nascosto, utilizzando gli indizi ricavati dai capitoli che lui le invia. Si procede così parallelamente in una vicenda oon the road che ha per sfondo i paesaggi più struggenti della Patagonia”.
Vicenda intrigante, senza dubbio. Che, al di là degli avvenimenti, dei personaggi indagati anche in chiave psicologica, ci aiuterà a conoscere una immensa area geografica, misteriosa e affascinante, che a me, inguaribile sedentario, appare terribilmente lontana, addirittura alla... fine del mondo.
Una storia trasferibile sullo schermo? mi chiedo. E perché no?
Sigismondo Nastri

martedì 11 ottobre 2016

IL 6 NOVEMBRE RICORRE IL DECIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI GELSOMINO D'AMBROSIO. SALERNO HA IL DOVERE DI RICORDARLO

Gelsomino D'Ambrosio
Ho scritto, in altra circostanza, che mi è sempre piaciuto l'odore dell'inchiostro di stampa. Fin da quando, giovanissimo, ad Amalfi, nella tipografia di Andrea De Luca, dove ebbe inizio la mia formazione lavorativa, mi capitava di "giocare" con i caratteri di piombo (quelli grandi, ovviamente) e comporre - d'intesa con l'indimenticabile Peppino De Luca - dei piccoli manifesti, stampandoli col tirabozze. Insieme, riuscimmo una volta a impaginare persino un giornalino, fatto tra amici, che chiamammo "Ulixes".
Ora che tutto è cambiato con le nuove tecnologie, ne sento viva la nostalgia. Resta il fatto, però, che quando sono stato coinvolto in qualcosa che avesse attinenza col lavoro tipografico ho vissuto esperienze e momenti straordinariamente belli. Gratificanti. Anche se il mio ruolo era soltanto quello di correttore di bozze. M'è capitato spesso con i miei amici De Luca (cito solo la collana del forese "inventata" da Peppino). Poi, "complice" Massimo Bignardi, mi son trovato una volta catapultato nello stabilimento Amilcare Pizzi a Cinisello Balsamo per curare l’editing del catalogo di una mostra di Picasso a Como.
Le esperienze più gratificanti, ed anche più istruttive, le ho vissute nelle stanze di Segno Associati stando fianco a fianco, in alcune intense serate,   con Gelsomino D’Ambrosio, in occasione delle mostre Mediterraneo Mirò” (16.11.2002-16.1.2003) e “Pablo Picasso I luoghi e i riti del mito” (16.12.2004-13.3.2005) a Salerno, sempre a cura di Massimo Bignardi, e seguendo l’allestimento degli splendidi cataloghi.
Un disegno di
Gelsomino D'Ambrosio
Che emozione quando mi affidò, per una rilettura prima della stampa, un libro di Leonardo Sinisgalli e il testo di una sua conferenza (o lezione) sul vescovo Juan Caramuel y Lobkowicz che nel 1600 aveva impiantato una tipografia a Campagna. 
Fra meno di un mese, il 6 novembre, ricorrerà il decimo anniversario della morte di Gelsomino D'Ambrosio. E’ una data che non può, non deve passare sotto silenzio. 
Salerno - la città, le sue istituzioni - ha il dovere di ricordare un uomo, un professionista, un artista – cito la bella mostra di suoi dipinti e disegni a Giffoni Valle Piana - che è stato, nell’ambito della cultura del territorio, un protagonista. Una guida. Un faro. Un maestro. E non solo per l’attività di docente di Cultura della grafica all’ISIA di Urbino e in numerosi master e corsi post-laurea, per i tanti saggi pubblicati su importanti riviste del settore, per l’intenso lavoro di progettazione della comunicazione per piccole e grandi imprese, in Italia e all’estero. Anche un maestro di vita.
Sigismondo Nastri