Un frullo d’ali
come di
farfalla
e una gioia
sofferta
lungamente
sognata
è svanita
per sempre.
(16 gennaio 1975)
Sono stato al cimitero di Salerno. Ho visto donne e uomini che lucidavano tombe. Ho visto, nei vasi, fiori freschi mischiati con fiori di plastica.
Non mi piacciono i fiori recisi, quantunque veri, come non piacevano a mia madre; figuriamoci quelli finti, di plastica, cineserie oggi di moda.
Mia madre amava le piante, le considerava alla stregua di esseri viventi. Staccarne un ramo, coglierne un fiore era come ferirle. E' così che la penso anch'io.
Non sono un frequentatore di cimiteri, ci vado giusto una volta all'anno, in questo periodo - fine ottobre, inizio novembre - dedicato alla memoria dei nostri cari, che ci hanno preceduti nell'attraversamento dell'antro oscuro che immette all'aldilà. Che ci conduce - lo spero ardentemente - al cospetto di Dio, della sua misericordia: col nostro vissuto, con le nostre colpe, le nostre debolezze, i nostri difetti, i nostri dubbi a volte angosciosi. Può darsi anche con qualche merito, chissà.
Non credo che nelle tombe, nei loculi, ci siano persone. Ci sono soltanto mucchi di ossa. Me ne resi conto quando assistetti all'esumazione dei poveri resti di mio padre e mia madre.
Da cattolico credo nell'aldilà, sono convinto che la preghiera valga molto più di una visita al cimitero. Che, solitamente, non mi dà emozioni.
I camposanti non sono luoghi tetri, sono ben tenuti, hanno siepi ordinate, folti viali alberati. Camminare tra le tombe non mi dà emozioni, dicevo. Anche quando mi trovo davanti foto e nomi di persone che ho conosciute.
Il pensiero della morte non mi crea turbamento. Ci sono preparato. La intendo come il naturale punto di arrivo di un arcobaleno che non si capisce dove finisce.
Non temo la morte. “Io sono la risurrezione e la vita - è il messaggio che ci viene da Gesà Cristo (Giov. 11:25-26) -; chi crede in me, anche se muore, vivrà;
e chiunque vive e crede in me, non morirà mai. Credi tu questo?”. Io lo credo.
Sono stato al cimitero di Salerno, ripeto. Aggiungo che mi sono commosso - io che, come ho dichiarato, non provo emozioni in queste visite "obbligate" dalla tradizione, dalla consuetudine, da una religiosità "diversa" dalla mia - soltanto quando mi sono accostato alla lastra che ricorda Mariangela, la mia figlioletta che, in un giorno terribile, mi passò davanti - son trascorsi quarantuno anni da allora - in un corridoio dell'ospedale di Via Vernieri a Salerno, con lo sguardo avido di curiosità, il colorito roseo, come tutti i bimbi appena nati. La ritrovai l'indomani, nel reparto pediatrico (allora sul lungomare, a Pastena), deposta in una scatola di cartone. Senza rispetto, senza umanità. Senza che nessuno si fosse sentito in dovere di avvertirmi (e non ci sarebbe voluto molto: ero in via Vernieri, al capezzale di mia moglie ammalata).
La fotografai: bella, nel pallore della morte, pur con gli occhi serrati, aveva le sembianze di un angelo.
L'angelo custode della mia famiglia.
© Sigismondo Nastri