Nel bel salone di rappresentanza di Palazzo Mezzacapo, a Maiori, è stato presentato il libro "Un grano di morfina per Freud" di Rino Mele, edito da Manni, già inserito nella terza dei finalisti al Premio Viareggio-Repaci, sezione poesia, di quest'anno. Sono intervenuti, con l'autore, l'assessore comunale Chiara Gambardella, il sindaco di Furore Raffaele Ferraioli, il sottoscritto. La violinista Michela Coppola ha eseguito brani di Mozart, Bach, Berio, Dalla Piccola.
Trascrivo qui di seguito il mio intervento.
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Rino Mele |
«Il professore Rino Mele
non ha bisogno di presentazioni.
Specialmente dopo la pubblicazione di questo libro, che lo ha portato – con
l’inserimento nella terzina finalista - a un passo dall’assegnazione del Premio
Viareggio-Repaci per la poesia. Premio nel quale abbiamo sperato in tanti:
tutti quelli che riconoscono in lui un maestro, una delle voci più nobili, più ispirate, più significative della poesia nel Sud Italia, uno dei riferimenti più alti dopo Quasimodo e Gatto. Ma, si sa, i fattori che
determinano l’attribuzione di un premio sono tanti e, a volte, vanno al di là
della qualità delle opere in competizione.
Rino Mele – dicevo –
non ha bisogno di presentazioni, perché ha alle spalle una ricchissima
produzione letteraria e pubblicistica – ricchissima sotto l’aspetto
quantitativo e, più ancora, dei contenuti – e spesso ha tratto spunto e
ispirazione dal nostro territorio. Il sindaco di Furore, uno dei luoghi della
costiera più amati dal maestro, ne potrà dare conferma.
Non è un poeta di
facciata, Rino Mele, capace di abbandonarsi a un lirismo puro e semplice. A un lirismo, cioè, solo formalmente perfetto.
E neppure alla teatralità delle immagini, nonostante provenga da un’antica
militanza nel teatro e da lunghi anni di insegnamento universitario di storia
del teatro e dello spettacolo. E’ un poeta difficile, impegnato a scavare negli eventi e, più ancora, nella psiche dei
personaggi ai quali rivolge la sua attenzione.
Avviene, così, che prenda a indagare sulla morte di Giordano Bruno (L’incendio immaginario), sulla
uccisione di Aldo Moro (Il corpo di Moro), sulla fucilazione
di Galeazzo Ciano. Fino a mettere ora, al centro dell’analisi, e sembra quasi
un paradosso, lo stesso padre della psicoanalisi.
Un grano di morfina è
il viatico che bastò a Freud, devastato dal cancro alla bocca, per porre fine
alle sue sofferenze, il 23 settembre 1939. Un male che s’era manifestato molti
anni prima, per il quale egli aveva subito trentadue operazioni e l’asportazione della
mascella. Senza che questo lo avesse indotto a smettere di fumare. Una scatola di sigari al giorno, così si
racconta.
Due giorni prima di
morire, al dottor
Max Schur, suo medico di fiducia, Freud aveva detto: "Lei ricorda il nostro primo colloquio: allora mi promise di
aiutarmi quando non ce l’avrei più fatta. Adesso non è che tortura e non ha più
senso… Dica ad Anna [la figlia] del nostro colloquio”. La mattina dopo gli
fu somministrato un terzo di grano di morfina che gli provocò un sonno
tranquillo, senza risveglio.
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Da sin.: Raffaele Ferraioli, Chiara Gambardella,
Rino Mele, Sigismondo Nastri |
La vicenda dolorosa
della malattia di Freud s’intreccia con quelle, altrettanto tragiche, della
storia d’Europa:
- la casa di Freud
violata dalle Sturmabteilung, le squadre d’assalto
del partito nazista;
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poi, in quello stesso 1939, l’invasione
della Polonia da parte della Germania (il 1° settembre) e dall’Unione Sovietica
(il 17 dello stesso mese). “Il fiume Bug
che bagna due rive disuguali. Le separa e le stringe – scrive Rino Mele. – Il lutto tracciato per la dissezione di
un’antica nazione servirà a costruire – l’anno dopo – una città capovolta,
Auschwitz, i morti in irriconoscibili divise”.
E’
l’inizio della seconda guerra mondiale, l’inizio della deportazione e dello
sterminio di milioni di ebrei. Lo stesso Freud patì per le sue origini
ebraiche. Nel 1933 il suo nome entrò nella
lista di autori le cui opere dovevano essere distrutte. Nel 1938 la figlia Anna
fu arrestata, sia pure per poco, dalla Gestapo. Fino a dover lasciare Vienna e rifugiarsi a Londra con la moglie Martha, i figli e i nipoti, le
domestiche e il medico personale con la famiglia di questi. A Londra morì il 12
settembre 1939.
Rino
Mele sottopone ad analisi, a una complessa analisi, il maggiore studioso della psiche.
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La violinista Michela Coppola |
Rivelandone i sentimenti, immaginandone i
pensieri, ricostruendone episodi di vita vissuta:
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cito l’attaccamento incestuoso per la madre, che egli ricordava di avere vista nuda,
anzi nudam,
da bambino (aveva due anni), in occasione di un viaggio fatto con lei da Lipsia
a Vienna (riferito in una lettera a Wilhelm Fliess del 3 ottobre 1897). Il
ricordo di quell’esperienza “avvampa, la
neve / che dispera il rosso, la cecità quando / la madre s’alza sulle punte, si
curva, apre / le braccia come per volare, si raddoppia nello specchio, / si fa
muro impenetrabile, parete d’aria / e pioggia ferma, nudam, nel petto del bambino un incavo / d’ansia. S’avvicina, si
cancella / piangendo / per essere preso nelle sue braccia”;
-
e poi il difficile rapporto col padre, che gli si mostra nel sogno, sceso dal
tetto rotto… “a sporcarsi le scarpe, i
guanti, / a rimettersi in testa il berretto” fattogli scivolare con un
colpo di canna. “E tu cosa hai fatto?”
gli chiede ripetutamente. “Il cappello
nuovo, il caldo berretto di pelliccia”. Difficile per un figlio accettare che egli si sia
limitato a raccoglierlo e a rimetterselo in testa.
C’è qui una “rivisitazione”, poetica, di quella
situazione psicologica che si rifà alle tragedie di Sofocle (Edipo re,
Edipo a Colono), teorizzata da Freud col nome di complesso di Edipo. Una situazione psicologica, cioè, che porta
ogni bambino, nei primi anni di vita, a
volere tutto per sé l'amore del genitore di sesso opposto, coltivando invece un
inconscio sentimento di rivalità e di ostilità nei confronti del genitore del
suo stesso sesso.
Gillo
Dorfles, nella introduzione a Un grano di morfina per Freud,
scrive che “la lunga trama dei versi di
Mele esprime, accanto ai dati più dolorosi di Freud, quella che è stata la sua
vita segreta, attraverso quelle parole che attingono dal profondo
dell’inconscio la loro forza espressiva, svelandone il lato più oscuro e
misterioso”.
Una
sola cosa mi sento di aggiungere: il libro è chiaramente difficile, come ho già detto, ma accattivante proprio per le
evocazioni illuminanti, per l’intreccio tra lirismo e indagine psicologica e storica, dalla quale
emerge uno scenario esistenziale che ritengo, sotto vari aspetti, sconvolgente.»
© Sigismondo Nastri