“Non c’indurre in tentazione” chiediamo a Dio ogni
volta che recitiamo il Padre Nostro. Il significato del verbo (lo prendo
dall'autorevole dizionario Treccani) è “sospingere, mettere in una determinata
situazione morale, o persuadere a fare qualche cosa”. Per esserne più sicuro
controllo sul vocabolario latino (il vecchio caro Castiglioni-Mariotti) e trovo
che “inducere” vuol dire “trascinare/condurre verso” e non sembra proprio che
in questo caso si possa applicare a Dio. Tanto più che la preghiera ci è stata
dettata da Gesù Cristo, suo unico figlio e nostro Signore.
Un'immaginetta - tratta dal web - con la nuova versione del Padre nostro rimasta inapplicata |
E allora – mi domando - come può essere che la
Chiesa, per secoli, abbia conservato quella formula: “non c’indurre in
tentazione” (ne nos inducas in temptationem)?
Qualcosa, evidentemente, non quadra nella
traduzione, dall’originale testo ebraico o aramaico, prima in greco poi in
latino, quindi nelle lingue moderne. La Chiesa – attraverso la CEI - vi ha
posto rimedio, in tempi recenti, modificando “non c’indurre in tentazione” in
“non abbandonarci alla tentazione”. Ma questo nuovo testo, non so perché, è
rimasto inapplicato. Ogni volta che, durante la celebrazione eucaristica, siamo
chiamati a recitare, all’unisono, il
Padre Nostro avverto un momento di difficoltà: vorrei addirittura sostituire "non c’indurre” con “non farci cadere in
tentazione”, che mi sembra più chiaro, più corretto, più plausibile. Però mi
adeguo al comune... sentire. So che nella Chiesa c’è stato anche il tentativo
di dare al “liberaci dal male” un senso
più esplicito: “liberaci dal maligno”, cioè dall'artefice di tutti i mali e le
nefandezze del mondo: individuali e collettive. Del resto, è Gesù stesso a
rivolgersi al Padre in questi termini: “chiedo che tu li custodisca dal
maligno”, Giovanni 17,15).
«La liberazione delle liberazioni – nota don
Francesco Carensi, docente di Sacra Scrittura alla Facoltà Teologica
dell'Italia Centrale - è dalle opere del Maligno, che sono sempre sofferenza,
violenza e morte. È la presenza del maligno, che tenta, seduce e opprime
quanti, accogliendo le sue suggestioni, possono diventare figli del maligno
(Matteo 13,38). È colui che sradica dal cuore la parola di Dio (Marco 4).»
© Sigismondo Nastri
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