Adriano Paolelli con una sua composizion Adriano Paolelli, Grappolo d'uva Se non avessi ottantuno anni, e la mente volta più a quel che mi aspetta non so quando (spero il più tardi possibile), mi metterei a bottega. Per imparare a dipingere. Ci ho provato quando ero ragazzo, papà mi mandò a lezione dal prof. Gino Piloni, docente di disegno, impareggiabile maestro di ebanisteria. Mi capitò pure di uscire, qualche volta, a dipingere en plein air insieme con Andrea Colavolpe, direttore dell’Azienda di soggiorno e turismo di Amalfi, pittore della domenica, molto bravo. I risultati, lo confesso, non furono incoraggianti. In una circostanza, nella zona del porto, mi si avvicinò un artista piemontese, Carlo Terzolo, col quale avevo cordialità di rapporti: si affacciò a curiosare sul mio cavalletto. Un disastro. Divenni rosso come un’anguria.
Durante un trasloco si persero l’attrezzatura (cassetta e tavolozza, bellissime, realizzate per me da un provetto falegname, Pietro Pagano) e alcuni esercizi di pittura (un cesto con frutta, una pipa, uno scorcio della Valle dei Mulini). Auspico che qualcuno li conservi ancora.Se non avessi l’età che ho, dicevo, andrei a imparare. Dove? Certamente, se mi accogliesse, da Adriano Paolelli che ha l'atelier dalle mie parti. Ci passo frequentemente. Non solo per soffermarmi a guardare, ammirato, con quanta padronanza, con quanta attenzione si dedica al suo lavoro, ma perché quello spazio, accogliente seppure non ampio, è il luogo di sosta e d’incontro di altri artisti: ne cito uno per tutti, Cosimo Budetta, al quale sono molto affezionato.I dipinti riempiono le pareti, altri sono accostati ai muri di qua e di là. M’incanto a vedere la facilità con la quale Adriano si muove col pennello su una tela, su una tavoletta, un qualsiasi altro supporto, o con la matita sul foglio di carta. Ne può venir fuori un grappolo d’uva, come è capitato l’altro giorno, il ritratto di un amico pittore, Pietro Falivena, dello stesso Budetta, o addirittura del sottoscritto, colto in uno dei “momenti felici”: cioè a far bolle di sapone. Un hobby che mi porto da lontano. Una volta m’è capitato di seguire l’esecuzione di un’opera di grande spessore: la "rivisitazione" di una battaglia napoleonica. Per vari aspetti - intensità, suggestione, movimento, profondità, ma con una ricchezza cromatica più marcata – mi viene da accostarlo a “Scotland Foreved” di Lady Elizabeth Butler, del 1881 (ma temo di dire un'eresia: non è materia nella quale mi sento di esprimere giudizi. Manifesto unicamente le mie sensazioni).Adriano Paolelli, Paesaggio Adriano è figlio d’arte. Il papà, Luigi, morto nel febbraio 2012, docente per molti anni all’Istituto d’arte di Salerno, ha lasciato un ricco patrimonio di opere, poco note - tranne che agli addetti ai lavori - perché aveva un carattere schivo e riservato. Non amava apparire. Ma prima o poi credo che a Salerno qualcuno dovrà prendere l’iniziativa di ricordarlo adeguatamente. La città d’origine, Civita Castellana, lo ha fatto.Adriano, che pure si tiene fuori dal giro di critici e galleristi, ha una sensibilità raffinata come il suo papà, pure se non ne ricalca lo stile. Se mai, lo si può avvicinare al genitore per la scelta dei soggetti: piccole cose, ispirate dalla quotidianità, studio della figura umana, scorci di paesaggio, visioni di mare e di cielo. La sua ricerca lo spinge, inoltre, a confrontarsi con la pittura informale, senza figure riconoscibili, senza prospettiva né geometria. In cui i protagonisti sono i colori e gli altri materiali fissati sulla tela. Una pittura che nasce dalle emozioni e che ha una indiscutibile carica espressiva.- Sigismondo Nastri
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sabato 16 luglio 2016
DIARIO DI UN OTTUAGENARIO. ADRIANO PAOLELLI E LA MIA VOGLIA DI... DIPINGERE
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