Sono grato all'amico professore Giuseppe Gargano, storico medievalista, scrittore, saggista, direttore scientifico della 61ª edizione della Regata delle Antiche Repubbliche Marinare, che ha voluto affidare a questo mio spazio un suo articolo, nel quale riassume in maniera egregia - poetica nel tratteggiarne l'atmosfera, rigorosa per quanto riguarda il valore di "memoria" di antichi fasti - la manifestazione svoltasi con grande successo domenica 12 giugno ad Amalfi.
I
rintocchi regolari dell'orologio della cattedrale e il melodioso suono della
banda nel rigore del suo ordine serioso annunciano che è festa, è festa ad
Amalfi.
Il
cielo è troncato come un emblema araldico da una linea non netta ma frastagliata
ed evanescente, che segna due climi opposti: a settentrione della demarcazione
grigio plumbeo e nebbioso, anticipatore di possibile prossima pioggia; a
meridione un velato celeste, auspicio di un'ottimistica affermazione del buon
tempo.
Si
prega nelle bianche case di Amalfi, al di sotto di crociere archiacute, nei
vicoli ombrosi e freschi, nelle chiese ove s'appresta la messa domenicale: si
scongiura il tempo cattivo, s'implora l'Apostolo Andrea per la vittoria di
Amalfi.
E'
aria di regata nel clima incerto della stagione; è aria di storia nella visione
cromatica e trasparente degli spiriti del passato, dolci nella memoria di un
immaginario collettivo sempre pronto a rivivere gesta e imprese.
E'
mezzogiorno, l'ora in cui tra piazze, campi, strettole della città si diffonde
il fragrante profumo del cibo della tradizione, fortemente segnato dai pesci
del mare piscosum, immersi in antiche salse di limone, di olio, di
prezzemolo o affogati nel mare rosso del pomodoro postcolombiano.
Nel
cassero di prora della nave scuola “Francesco Cini” della Finanza, antico corpo
di lontana origine sabauda, intanto si scambiano doni. La voce del comandante
ripercorre le missioni nei mari umanitarie e di custodia della patria. Una voce
racconta le origini religiose e marinare della croce ottagona, l'istituzione
del beato Gerardo Sasso di Scala, le gloriose imprese delle galee
gerosolimitane e giovannite, poi di Rodi e quindi di Malta, a difesa della
cristianità nel nome della tuitio fidei e dell'obsequium pauperum.
E
giunge alfine l'ora meridiana: dalla torre di S. Francesco si odono rulli di
tamburi e squilli di trombe, mentre appaiono acrobatici gli sbandieratori della
città della Cava nel ricordo del coraggio di cavesi e tramontani che il 7
luglio 1460 condussero in salvo re Ferrante d'Aragona dopo la disfatta del
Sarno. Nella rievocazione di Cava e di Tramonti ogni anno si rinnovano la
riscossa aragonese, il privilegio offerto agli abitanti tramontani,
l'affermazione dei condottieri Antonio Todeschini Piccolomini e Giorgio
Castriota Eskanderbegh, il primo pronto a ricevere in feudo il ducato di Amalfi
quale dote di sua moglie Maria d'Aragona, mentre il nipote omonimo del secondo
si sarebbe trasferito nella città marinara allo scorrere di quel secolo.
Appare
sulla strada a picco sul mare il gonfalone della Serenissima con l'iscrizione
evangelica Pax tibe, Marce, Evangelista meus, dono del pontefice
Alessandro III nel 1171 per la mediazione svolta da Venezia a seguito del
conflitto tra l'imperatore Federico Barbarossa e i Comuni: è l'inizio dei
cortei delle quattro repubbliche del mare. Seguono i senatori componenti il
consiglio dei dieci di un'oligarchia millenaria. Il doge sotto l'umbrella con
il corno del suo potere e con il suo sorriso da vecchio sornione anticipa episodi
politici destinati ad essere vergati nel grande libro della Storia. Si respira
aria di Quattrocento marciano e mediterraneo, l'apogeo di Venezia, suggerita
dagli ambasciatori orientali. Caterina Cornaro, sostenuta sulla portantina dai
mori, è pronta, suo malgrado, prima di ritirarsi negli ozi umanistici di Asolo,
a consegnare l'isola di Cipro al doge, pedina di un gioco politico che l'illuse
come austera regina. Il capitano da mar, ammiraglio della flotta che difese
eroicamente Famagosta e che vinse a Lepanto, riecheggia il nome glorioso di
Francesco Morosini.
Le
squillanti trombe dal ritmo toscano annunciano l'arrivo del corteo di Pisa. La
croce pomettata in campo rosso prova i rapporti con Bisanzio degli inizi del
XII secolo, quando, mercè gli amalfitani, sul Corno d'Oro i pisani ebbero la
loro colonia. Il sergente coi suoi fanti, al secolo Stefano Gianfaldoni, che da
bambino pescava dal molo di Amalfi, fa rivivere l'assalto orgogliosamente
respinto a Ravello e a Scala nel 1135. Si ripercorrono poi come in un film le
fasi salienti del comune marinaro di Pisa: consoli e priori, podestà (per
decenni interpretato dallo studioso Paolo Gianfaldoni), capitano del popolo. I
marinai, guidati dal patrono e dai comiti, riportano la lancetta del tempo alle
galee vittoriose della I Crociata, che consentirono all'arcivescovo Dagoberto
di diventare patriarca di Gerusalemme. Kinzica, l'eroina del popolo, trionfa
sul suo cavallo nella memoria del salvataggio di Pisa dall'improvviso attacco
degli arabi di Spagna, spronando la sua flotta alla liberazione della Sardegna.
La
rossa croce di S. Giorgio e la figura del megalomartire che infilza il drago
indicano l'arrivo del corteo di Genova. I neri leoni dell'Embriaco sembrano
ruggire all'avanzare sicuro di colui che per primo entrò a Gerusalemme dalla
porta di Sion il 15 luglio del 1099: il Testadimaglio è fiero di mostrare la
reliquia importata per la Superba, il Sacro Catino ove il Maestro e i Discepoli
consumarono l'Ultima Cena. E Caffaro è pronto a scrivere le imprese del suo
condottiero, santo come il guerriero che protegge Genova.
Il
suono familiare delle clarine e il ritmo cadenzato dei timpani della galea
ammiraglia sono gli araldi della Donna bella, vestita riccamente di bruccato,
la ninfa Amalfi, leggiadra sirena che vinse l'amore di Ercole. I grandi
magistrati degli anni intorno al Mille, il magnificentissimu dux Mansone
I (da molti lustri interpretato da Alfredo D'Amato), referente privilegiato di
Bisanzio in Occidente, suo figlio il duca Giovanni I, consoli, giudici sono la
testimonianza parlante con le loro preziose fogge della città “opulenta e
popolosa”, “la più prospera di Longobardìa”. Il corteo nel corteo, questa è
Amalfi nella regata.
E'
festa ad Amalfi, oggi come ieri: il giovane Sergio III, figlio di Giovanni I e
nipote di Mansone I, sposa Maria, figlia di Pandolfo II principe di Capua e di
Benevento. E' la domenica 26 aprile 1002: il giorno seguente il diciannovenne
rampollo ducale sarà incoronato, nella cappella palatina del S. Salvatore de
Birecto di Atrani, Dei providentia dux, assicurando la successione
alla sua dinastia.
Il
cielo si fa più plumbeo; nell'aria l'armata grigia travolge l'azzurra. Una
pioggia fitta ammazza il mare e placa le onde. Si parte dal Capo Vettica, si
studia il percorso a tavolino. L'aquila imperiale pisana prende subito il
largo, annaspa sotto costa il leone di S. Marco, cercano a fatica di resistere
il drago di S. Giorgio e l'alato cavallo di Amalfi. Ai 1000 metri il rosso
pisano domina la competizione, ma l'agone cresce silente sull'azzurro galeone
amalfitano. Ai 1500 metri dalla partenza il distacco si accorcia in modo
esponenziale: dalla costa e dalle barche appostate nelle acque un coro di voci
amiche incoraggia i ragazzi di Noio. La tattica di Franco dell'attacco
progressivo sta dando i suoi frutti come quattro anni or sono. Alla punta del
molo foraneo la partita è tra Pisa e Amalfi: il becco dell'aquila rapace è in
linea con lo zoccolo del cavallo della magna grecità. Torna il triste ricordo
del 1968, quando Amalfi in testa in acqua 4 perse la gara, poiché il timoniere
aprì il timone verso il largo. “Ora tocca al timoniere”, qualcuno afferma ai
microfoni della RAI. Lo spettro del passato è, comunque, dileguato; il piccolo
uomo di Castellammare sa il fatto suo: governa leggermente il timone verso
l'interno e l'armo azzurro, spinto da frenetiche palate di giovani gagliardi e
dalla fronte immensa, taglia da solo il traguardo. Colui che fu “il ragazzo al
banco sei” nel 1997 ora è il vegliardo senza tempo alla lacca 2: a lui
in particolar modo è dedicata la vittoria, mentre a Pierino Florio il libellus
commemorativo della LXI Regata.
Altri
giovani liceali e del corso turistico, tra cui speranze e promesse dei gozzi,
s'impegnano con seria applicazione agli infopoints, guidati dai loro
insegnanti, per informare gli ospiti sulla Regata e fornire notizie sulla
storia di Amalfi, ponendo in essere un progetto fortemente voluto dalla loro
preside Solange Hutter.
Pianti
di gioia, sorrisi, abbracci, grida di giubilo commuovono l'aria e fanno
dileguare la pioggia.
Qualcuno
proclama alla nazione, all'Europa e al Mediterraneo la grandezza delle città
del mare, che illuminarono il Medioevo con una luce di civiltà e di progresso,
auspicando una seria valorizzazione della cultura dalle Alpi a Pantelleria, per
offrire alla gioventù italiana un futuro di riscatto e di rivoluzione
ideologica improntata sulla tradizione delle conquiste sociali, politiche ed
economiche che segnarono l'apogeo delle repubbliche marinare d'Italia.
Fuochi
e colori s'intrecciano nel mare amalfitano: la festa di Amalfi continua!
Giuseppe Gargano
Direttore scientifico della Regata
delle Antiche Repubbliche Marinare