Faccio un salto a Napoli (è accaduto mercoledì scorso) - da Salerno ci vuole mezz'ora, con i treni regionali veloci -, giusto per affacciare il naso nella stazione, dove la noia è vinta dalle note di un pianoforte, e subito rientro alla base.

E' un cantastorie (lo leggo sul biglietto da visita, poi vado a curiosare su youtube e alla voce Biagio Accardi trovo brani gradevolissimi - nonostante le difficoltà del linguaggio - dei suoi concerti). Quando me lo dice i miei occhi, appannati dall'età e dalla cataratta, si illuminano. Mi meraviglio, e godo, che i cantastorie esistano ancora, con i loro sogni, i loro ideali, i loro ricordi - "canto e cuntu" è il titolo di una sua filastrocca - in un mondo che corre, corre, corre senza sapere dove andrà a sbattere. Che si abbrutisce sempre più. Che ha perso il piacere di raccontarle le storie - nenie, filastrocche, cantilene, favole -, se non quelle che ci propinano ogni giorno la Tv e i giornali: di violenza, di guerra, di terrore, di morte.
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