Nell’avvicinarsi della Pasqua, ripropongo questo scritto già pubblicato il 26 marzo 2013
Pasqua ha rappresentato sempre un grande appuntamento
conviviale. Tanto più che s’usava benedire la mensa. Avviene ancora in molte
case. Ci si reca in chiesa, la mattina, a prelevare l’acqua santa. E con
questa, intingendovi un rametto d’ulivo,
dopo un momento di preghiera, il capo famiglia, all’inizio del pranzo, asperge
la tavola imbandita e gli stessi commensali. Lo faceva mio padre, cerco di
tener viva la tradizione.
Per la scampagnata – che ora si chiama picnic - c’è la
Pasquetta (’o pascone), il giorno dopo, ed è quasi una riconquista della
libertà. Ci si portava dietro, ai miei
tempi, una grossa fetta di gattò di patate, farcito con salame, formaggio,
mozzarella, o una frittata di maccheroni.
Con una esplosione di profumi e sapori, Pasqua segna la
conclusione della quaresima, iniziata all’indomani dell’ultimo martedì grasso:
un periodo di preparazione durato quaranta giorni (quarantaquattro, con le
domeniche) caratterizzato da penitenza e digiuno, che cessa con la resurrezione
di Gesù. E siccome coincide col periodo
in cui si ammazzano i maiali, ecco che nel menu la carne suina la fa da
padrona. Sotto forma di fellata
(sopressate e capicolli), che si abbina al casatiello (tortano di pane
con sugna e cicoli, decorato con uova intere, cotte anch’esse in forno), alla
ricotta salata ’e Montella (si fa per dire, ora la producono in Sardegna) da
gustare insieme alle fave fresche, primizia di stagione. Poi c’è
la menesta maretata, che a Napoli, in epoca borbonica, chiamavano anche menesta
cu no palmo 'e grasso: un trionfo di verdure, calate in un brodo nel quale si
son messe a cuocere parti meno nobili del maiale, ma dal sapore intenso:
insaccati - pezzente, annoglie -,
cartilagini e ossi tenuti in salamoia.
Questo, senza rinunciare al primo piatto – maccheroni al
forno o conditi con ragù di carne (col
ragù si sposano a meraviglia i ricci furetani) – e al capretto (in costiera
preferito all’agnello) contornato da patatine novelle. A proposito: le statistiche ci dicono che ogni anno due milioni di agnelli vengono uccisi, nel periodo pasquale, per finire sulle tavole degli italiani. Mi associo a quanti chiedono che venga fermato questo massacro. Prometto che sarò il primo a rinunciarvi.
Dulcis in fundo, i dolci: il casatiello dolce, sormontato
dalla pecorella di zucchero o marzapane, e soprattutto la pastiera, dal profumo inebriante di cedro
e fiori d’arancio. Rigorosamente di fattura domestica, con quel tocco personale
che la distingue dalle altre.
Una grande abbuffata? No, semplicemente il trionfo del gusto
e dello stare insieme perché – recita un antico detto, e vale specialmente per
i giorni di festa – “chi magna sulo s’affoca”.
© Sigismondo Nastri
Nessun commento:
Posta un commento