Il restauro della Torre di Villa Rufolo, a Ravello, è
sicuramente da salutare con favore. Tanto più che l’edificio duecentesco – come
scrive il giornale online il Vescovado – “è destinato ad ospitare, a partire
dal prossimo anno, un museo a metà fra il reale ed il virtuale, che permetterà
ai visitatori di vivere un viaggio nei luoghi, nella storia e nell'arte di
Villa Rufolo, della Città della Musica e della Costiera Amalfitana”.
Desta perplessità la struttura in vetro installata
sulla sommità, simile a quelle che delimitano le terrazze panoramiche dei
grattacieli, per ovvie ragioni di sicurezza. Ma qui siamo in presenza di un monumento che risale
al Medioevo, non di un edificio ultramoderno.
Su questo s’è aperta una discussione su Facebook,
alla quale anch’io ho partecipato con una battuta – che m’è venuta spontanea
nel vedere la fotografia pubblicata dal Vescovado (ved. a fianco) - paragonandola a una “caiola”, una voliera per
uccelli. Ma s’è trattato di una battuta. Certo è che questa paratia trasparente, sorretta da paletti, non è bella a vedersi. Come è altrettanto certo che da lassù il visitatore potrà ammirare un panorama mozzafiato.
Tuttavia c'è da sottolineare un principio: lo spettacolo è una cosa, la salvaguardia del
monumento, della memoria storica, è altra cosa. Altrimenti potremmo pure
pensare di creare una “terrazza”, magari con bar e ristoranti, in cima al Colosseo o
nella Casa del Fauno a Pompei. Il problema è quello di conciliare i due aspetti della questione: la conservazione del monumento, nella sua integrità, e l'utilizzo, la fruizione.
Nel programmare e mettere in atto qualsiasi intervento, dovremmo sempre ricordarci – e dovrebbero
ricordarselo gli addetti ai lavori, responsabili della politica dei Beni
culturali (ministro Franceschini, se ci sei, batti un colpo!), tecnici e funzionari delle Soprintendenze – che gli occhi del mondo
sono puntati su di noi, sulla nostra capacità di tutelare le memorie del passato.
Noi, che forse non meritiamo tutto quel ben di Dio di patrimonio
artistico-culturale che ci è stato trasmesso dagli antenati, se è vero - ved. le
continue inchieste alla tv e sui giornali - che spesso lo teniamo nell'incuria più
assoluta, quando non lo manomettiamo e maltrattiamo in modo scriteriato. E' chiaro che non mi riferisco necessariamente al caso specifico ma a una situazione diffusa sul
territorio nazionale. Che non ci fa onore.
A chi,
infastidito, tenta di far prevalere la propria opinione dico che discuterne
civilmente, confrontare i punti di vista, non è un fatto negativo. E' segno di
attenzione. Il mio modo di pensare s'ispira all’insegnamento di un critico
d’arte inglese, Arthur Clive Heward Bell: “Cercherò di descrivere il grado
della mia emozione estetica. Questo ritengo sia la funzione della critica”.
Sigismondo Nastri
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