“In un mondo di grandi concentrazioni – leggevo qualche
giorno fa su “Sette” -, i piccoli editori restano a galla – o addirittura
veleggiano – se giocano la carta della passione. Se aprono al mondo la nicchia
che li raccoglie. Se non ripetono, e continuano a progettare il futuro”. Capita pure che si possa diventare editori
(di se stessi) solo come
divertissement. “Pe’ nu sfizio ‘e c…o”
rispose il mitico don Carlino a un giornalista che gli chiedeva perché
avesse voluto costruire il suo albergo – tra i più famosi nel mondo – sulla scarpata
che dalla strada porta al mare, all'ingresso di Positano. Fantasia e passione
sono, il più delle volte, alla base del successo. Non economico, se
l’arte non diventa un’attività imprenditoriale, ma rimane pura
gratificazione. E' risaputo che non si vive di solo pane.
Cosimo Budetta e Adriano Paolelli |
E’ il caso di Cosimo Budetta, del quale sono felice di
essere amico. Pittore, poeta, ceramista, grafico, con una predilezione per i “libri
d’artista”. Libri scritti, illustrati, stampati e… confezionati da lui
stesso (con qualche eccezione, lo vedremo di qui a poco), riservati a pochi privilegiati. Per fare questo
ha attrezzato un laboratorio nel suo rifugio/atelier di Agromonte e lo ha
chiamato Ogopogo: il nome (palindromo: che può essere letto all’incontrario) richiama
un mostro marino, esistente o no, chissà!, al quale nel 1924 Cumberland Clark dedicò
una canzone, “The Ogopogo: The Funny Fox-Trot”, in cui si diceva che era figlio
di un insetto e di una balena. Nome, Ogopogo – riferisce Wikipedia - che è
stato ripreso da giochi di ruolo e in altre ambientazioni fantasy; per esempio, Final Fantasy IV.
A proposito di giochi, Budetta è un esperto di Tangram - rompicapo millenario cinese, fatto di sette tavolette che si compongono in molte figure -, tanto da avergli dedicato un manuale, indirizzato soprattutto ai più piccoli.
A proposito di giochi, Budetta è un esperto di Tangram - rompicapo millenario cinese, fatto di sette tavolette che si compongono in molte figure -, tanto da avergli dedicato un manuale, indirizzato soprattutto ai più piccoli.
I libri, ai quali mi riferisco, sono oggetti d’arte.
Meglio, opere d'arte, dato che un libro d’artista “è un manufatto librario seguito
direttamente dall’artista in ogni sua fase ed elemento, dalla progettazione
alla realizzazione materiale”. Lo è sicuramente questo “Giotto
dipinge un putto” che ho tra le mani adesso, fresco fresco, tirato in appena
trentacinque esemplari numerati e firmati. Non destinati al
commercio. Alla faccia del vile denaro. "Nella vita - ricorda Groucho Marx - ci sono cose ben più importanti del denaro". Solo che "ci vogliono i soldi per comprarle!".
"Giotto dipinge un putto" - realizzato da Budetta in tandem con Adriano Paolelli - contiene, in appena sei pagine di testo, brevi
filastrocche in versi, che mi riportano a Gianni Rodari (poeta amato da
Budetta, che ne ha illustrato alcune opere) e, chicca finale, un pregevole delizioso acquerello
di Paolelli. Tra i due s'è instaurato un solido e fecondo sodalizio
artistico. Ne sono testimone diretto perché la bottega di Paolelli è a due
passi da casa mia e la mattina, quando ci passo, sia pure per un “buongiorno!”,
Cosimo è seduto lì, quasi nascosto nello stretto spazio che separa due tavoli
da lavoro.
Adriano Paolelli, acquerello |
La Bibbia ci ricorda che “il seme cadde in buon
terreno: germogliò e crebbe rigoglioso”. Frase trascritta proprio da Adriano in un pannello maiolicato sulla facciata della scuola "Matteo Mari". La citazione può ben essere applicata a lui medesimo che, sia pure con tecnica e sensibilità diversa (come
diversi sono i tempi), segue le orme del papà, Luigi, morto nel febbraio 2012:
un pittore giunto a Salerno da Civita Castellana, che ha lasciato profonda
traccia del suo impegno di docente all’istituto d’arte e, principalmente,
si è caratterizzato per la ricerca pittorica - che ha interessato disegno e
mezzi espressivi -, con risultati che reputo straordinari. Sono certo che, prima o poi, questa città
dovrà celebrarne degnamente la figura e l’opera.
Adriano Paolelli, lo dicevo prima, si muove sulla traccia segnata dal genitore, combattuto tra il figurativo (certe deliziose nature morte, raffinati scorci di paesaggio) e l'informale, dove – nota Aristide Fiore – “la forza espressiva del colore viene pienamente incanalata in un vago senso di familiarità che pervade i dipinti”.
Adriano Paolelli, lo dicevo prima, si muove sulla traccia segnata dal genitore, combattuto tra il figurativo (certe deliziose nature morte, raffinati scorci di paesaggio) e l'informale, dove – nota Aristide Fiore – “la forza espressiva del colore viene pienamente incanalata in un vago senso di familiarità che pervade i dipinti”.
Torno alle dodici piccole filastrocche di Cosimo
Budetta: “Giotto dipinge un putto / poi due, poi tre. / Otto ne disegna in
tutto”. Oppure: “Giotto bambino / disegna un agnello. / Cimabue lì vicino / gli
regge il pennello.” Vi trovo anche un vago riferimento a una canzone, ormai
desueta, di Angelo Branduardi, “Alla fiera dell’est”, laddove Budetta scrive: “Il
cane morsicò un gatto, / il gatto azzannò un ratto, / il topo addentò un matto.
/ Non se ne accorse il mentecatto: / era assorto e un po’ distratto”.
Sono poesiole, a mo’ di refrain, nelle quali, solo
apparentemente, il nonsense la fa da padrone. Come questa, applicabile ai
difficili momenti che attraversa il mondo: “Quando volpe ci prova / son guai
per le galline: le spenna ove le trova / e ne fa tante fettine”. Ecco che viene subito alla
mente la “Filastrocca corta e matta” di Rodari: “Il porto vuole sposare la
porta, / la viola studia il violino, / il mulo dice: “Mio figlio è il mulino”;
/ la mela dice: “Mio nonno è il melone”; / il matto vuole essere un mattone, / e
il più matto della terra / sapete che vuole? Fare la guerra!”.
Sigismondo Nastri
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