lunedì 6 ottobre 2014

"GIOTTO DIPINGE UN PUTTO", IL LIBRO D'ARTE CON I VERSI DI COSIMO BUDETTA E UN ACQUERELLO DI ADRIANO PAOLELLI



“In un mondo di grandi concentrazioni – leggevo qualche giorno fa su “Sette” -, i piccoli editori restano a galla – o addirittura veleggiano – se giocano la carta della passione. Se aprono al mondo la nicchia che li raccoglie. Se non ripetono, e continuano a progettare il futuro”.  Capita pure che si possa diventare editori (di se stessi)  solo come divertissement.  “Pe’ nu sfizio ‘e c…o” rispose il mitico don Carlino  a un giornalista che gli chiedeva perché avesse voluto costruire il suo albergo – tra i più famosi nel mondo – sulla scarpata che dalla strada porta al mare, all'ingresso di Positano. Fantasia e passione sono, il più delle volte, alla base del successo. Non economico,  se l’arte non diventa un’attività imprenditoriale, ma rimane pura gratificazione. E' risaputo che non si vive di solo pane.
Cosimo Budetta e Adriano Paolelli
E’ il caso di Cosimo Budetta, del quale sono felice di essere amico. Pittore, poeta, ceramista, grafico, con una predilezione per i “libri d’artista”. Libri scritti, illustrati, stampati e… confezionati da lui stesso (con qualche eccezione, lo vedremo di qui a poco), riservati a pochi privilegiati. Per fare questo ha attrezzato un laboratorio nel suo rifugio/atelier di Agromonte e lo ha chiamato Ogopogo: il nome (palindromo: che può essere letto all’incontrario) richiama un mostro marino, esistente o no, chissà!, al quale nel 1924 Cumberland Clark dedicò una canzone, “The Ogopogo: The Funny Fox-Trot”, in cui si diceva che era figlio di un insetto e di una balena. Nome, Ogopogo – riferisce Wikipedia - che è stato ripreso da giochi di ruolo e in altre ambientazioni fantasy; per esempio,  Final Fantasy IV.
A proposito di giochi, Budetta è un esperto di Tangram - rompicapo millenario cinese, fatto di sette tavolette che si compongono in molte figure -, tanto da avergli dedicato un manuale, indirizzato soprattutto ai più piccoli.
I libri, ai quali mi riferisco, sono oggetti d’arte. Meglio, opere d'arte, dato che un libro d’artista  “è un manufatto librario seguito direttamente dall’artista in ogni sua fase ed elemento, dalla progettazione alla realizzazione materiale”.  Lo è sicuramente questo “Giotto dipinge un putto” che ho tra le mani adesso, fresco fresco, tirato in appena trentacinque esemplari numerati e firmati. Non destinati  al commercio.  Alla faccia del vile denaro. "Nella vita - ricorda Groucho Marx - ci sono cose ben più importanti del denaro". Solo che "ci vogliono i soldi per comprarle!".  
"Giotto dipinge un putto"  - realizzato  da Budetta in tandem con Adriano Paolelli - contiene, in appena sei pagine di testo, brevi filastrocche in versi, che mi riportano a Gianni Rodari (poeta amato da Budetta, che ne ha illustrato alcune opere) e, chicca finale, un pregevole delizioso acquerello di  Paolelli. Tra i due  s'è instaurato un solido e fecondo sodalizio artistico. Ne sono testimone diretto perché la bottega di Paolelli è a due passi da casa mia e la mattina, quando ci passo, sia pure per un “buongiorno!”, Cosimo è seduto lì,  quasi nascosto nello stretto spazio che separa due tavoli da lavoro.
Adriano Paolelli, acquerello
La Bibbia ci ricorda che “il seme cadde in buon terreno: germogliò e crebbe rigoglioso”. Frase trascritta proprio da Adriano in un pannello maiolicato sulla facciata della scuola "Matteo Mari". La citazione può ben essere applicata a lui medesimo che, sia pure con tecnica e sensibilità diversa (come diversi sono i tempi), segue le orme del papà, Luigi, morto nel febbraio 2012: un pittore giunto a Salerno da Civita Castellana, che ha lasciato profonda traccia del suo impegno di docente all’istituto d’arte e, principalmente, si è caratterizzato per la  ricerca pittorica - che ha interessato disegno e mezzi espressivi -, con risultati che reputo straordinari.  Sono certo che, prima o poi, questa città dovrà celebrarne degnamente la figura e l’opera.  
Adriano Paolelli, lo dicevo prima, si muove sulla traccia segnata dal genitore, combattuto  tra il figurativo (certe deliziose nature morte, raffinati scorci di paesaggio) e l'informale, dove – nota Aristide Fiore“la forza espressiva del colore viene pienamente incanalata in un vago senso di familiarità che pervade i dipinti”.

Torno alle dodici piccole filastrocche di Cosimo Budetta: “Giotto dipinge un putto / poi due, poi tre. / Otto ne disegna in tutto”. Oppure: “Giotto bambino / disegna un agnello. / Cimabue lì vicino / gli regge il pennello.” Vi trovo anche un vago riferimento a una canzone, ormai desueta, di Angelo Branduardi, “Alla fiera dell’est”, laddove Budetta scrive: “Il cane morsicò un gatto, / il gatto azzannò un ratto, / il topo addentò un matto. / Non se ne accorse il mentecatto: / era assorto e un po’ distratto”.
Sono poesiole, a mo’ di refrain, nelle quali, solo apparentemente, il nonsense la fa da padrone. Come questa, applicabile ai difficili momenti che attraversa il mondo: “Quando volpe ci prova / son guai per le galline: le spenna ove le trova / e ne fa tante fettine”. Ecco che viene subito alla mente la “Filastrocca corta e matta” di Rodari: “Il porto vuole sposare la porta, / la viola studia il violino, / il mulo dice: “Mio figlio è il mulino”; / la mela dice: “Mio nonno è il melone”; / il matto vuole essere un mattone, / e il più matto della terra / sapete che vuole? Fare la guerra!”.
Sigismondo Nastri

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