Come ogni anno, si preannuncia una grande festa, il 15 agosto, a Maiori, dove
l’Assunzione in cielo della Beata Vergine Maria è celebrata con particolare
solennità, trattandosi della patrona della cittadina, venerata col nome di S. Maria a Mare.
Un culto antico, tramandato da una generazione all’altra, che – ho già avuto modo di scriverlo in altra circostanza – passa attraverso
due simulacri: la bella statua in legno, collocata stabilmente
sull’altare maggiore, nella Chiesa-santuario, che domina da un’altura
l’intero abitato. Sarebbe – secondo uno storico locale – “una delle
poche immagini sacre scampate nell’VIII secolo alla furia iconoclasta
dell’imperatore bizantino Leone Isaurico”, arrivata su queste rive nel 1204
nascosta in una balla di cotone. Forse fu gettata in mare
per alleggerire il carico di un bastimento sorpreso da una tempesta. E poi l'altra statua, quella che viene portata in processione,
passando tra due ali di folla, in una cornice scenografica suggestiva. E' conservata gelosamente in un grande armadio a muro nella navata di destra, proprio di
fronte alla sacrestia. Di lì viene estratta nel giorno della vigilia, con un
rituale particolare, descritto dettagliatamente da Agostino Ferraiuolo su
“Vita cristiana di Maiori”, il giornalino della parrocchia: “Il giorno
antecedente alle succitate ricorrenze (il 15 agosto e la terza domenica di
novembre, festa del “patrocinio”), una volta chiusa la chiesa, il sagrestano
disserra la porta dell’armadio e apre la tenda interna di color celeste. Con
gran devozione poi il simulacro della Beata Vergine Maria è traslato da pochi
incaricati, quali i fedelissimi valletti a servizio della Regina del Cielo,
nell’ufficio parrocchiale, posto nella sagrestia. Qui, per l’occasione, è stata
approntata una tenda, che chiude la porta per rendere più riservata
l’operazione”. Deposta la statua su un tappeto, espressamente destinato a tale
uso, “i valletti – riferisce Ferraiuolo – escono dalla stanza. Prima viene
serrata la tenda e poi chiusa con chiavistello la porta dell’ufficio nel quale
restano solo le ancelle”. La statua dev’essere preparata per
l’esposizione sul trono, accanto all’altare maggiore, ed è un compito affidato
esclusivamente alle donne. Prima cosa da fare, la vestizione.
Per la ricorrenza
del 15 agosto si fa indossare alla Madonna l’ampio vestito e il manto écru,
ricamato a mano con disegni sfarzosi, rappresentanti cornucopie con fiori,
intrecciati con sottili fili di seta colorati. Per l’altra ricorrenza (la festa
del “patrocinio, a novembre, quella della “Madonna ‘e notte”, come la
definiscono i maioresi), l’abito, sempre dello stesso colore, ha un fitto
ricamo di stelline in oro. Come s’è detto, è un compito, questo, affidato ad
alcune signore, che lo assolvono con delicatezza, professionalità e una tale
tutela della “privacy” che impedì, una volta, ad un canonico della Collegiata,
don Clemente Confalone, di accedere in quella stanza. La compianta Assunta
Conforti, che per lunghi anni si occupò della vestizione della statua, al
sacerdote che bussava insistentemente alla porta per poter entrare, disse: “Don
Cleme’, quando vostra sorella si veste, voi entrate nella camera?”. E il
povero don Clemente dovette rinunciarvi.
Solo quando la Madonna è abbigliata, con la fluente
chioma in perfetto ordine, ornata di tutti i paramenti, viene esposta alla
venerazione dei fedeli.
Agostino Ferraiuolo ricorda tre figure di donne che
hanno, nel tempo, prestato il loro servizio per “vestire la Madonna” e lo hanno
fatto con amorevole cura e devozione. Sono: Giovanna Apicella (Giovannina ‘e
Lavrienza), maestra sarta che, nella sua casa al Casale dei Cicerali,
insegnava alle ragazze taglio e cucito; la citata Assunta Conforti, morta a 91
anni, “che ha servito la Madonna fino agli ultimi anni di vita”; Teresa Cuomo,
moglie di Giuseppe Lieto (Peppino ‘a Minella), che – nota Ferraiuolo – è
stata “l’unica ad avere festeggiato il
giubileo del suo pio servizio al compimento del decimo lustro di vestizioni”.
Intanto, in attesa della festa, ogni pomeriggio si assiste a un
raduno di fedeli, in prevalenza donne, nelle chiesette di san Rocco, sul corso
Reginna, e della Madonna della Libera, in via Nuova Chiunzi, per la recita di
un rosario popolare, tipicamente maiorese, in onore della Vergine, invocata
come “la Diva del Mare, l’Assunta nel
Ciel”. Il testo, di cui non si conosceva l’origine, era giunto a noi
tramandato oralmente; poi Mimma Savastano, una maestra appassionata di storia
patria, ne ha curato una trascrizione alla quale ci si è sempre riferiti. Fino
a quando un ricercatore scrupoloso, e in questo caso anche fortunato, Crescenzo
Paolo Di Martino, è riuscito a recuperarne la versione originale, grazie al
ritrovamento, presso la Biblioteca provinciale,
di un volumetto edito nel 1873, a cura dell’allora prevosto don Vincenzo
Gambardella, dal titolo “Marieide, ovvero
Inni polimetri in laude di Maria SS.”. Resta tuttavia incerto, sottolinea
Di Martino, il tempo e l’occasione che diedero vita al canto.
Sigismondo Nastri
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