Ripropongo questo testo,
già pubblicato su mondosigi il 5 giugno 2007,
perché lo ritengo interessante per il recupero
della memoria storica del territorio.
Lo dedico ai nipoti del mitico Nicola 'e Cammerine,
pioniere del turismo balneare ad Amalfi
La
stagione balneare in Costiera amalfitana, all’inizio del Novecento, scorreva
tra “chiasso, rumore, flirts”, più o
meno come avviene oggi. Nonostante ciò, rilevava Cesare Afeltra sul Piccolo del
19 agosto 1921, “Amalfi resta il luogo che accorda tutti i riposi e tutti i conforti”. La spiaggia
era “gaia, lieta, serenamente allegra, dove ogni qualità di fastidio è minima e
l’utile ed il comodo proprio sono in prima linea. Più che di vivere, difatti,
una vita balneare, qui la si subisce, la si gode senza volontà, ma
voluttuosamente, senza desiderio, ma raffinatamente”. Un anno dopo, il 29
agosto 1922, lo stesso cronista osservava che la villeggiatura amalfitana “si
caratterizza dalle altre del Tirreno stesso e dell’Adriatico lontano per una
nota di calma e di mollezza marina” dato che Amalfi è “un paese dove tutto è
calmo, vago, sereno. Non la riva ultra elegante turbata dal sapore delle città
in diciottesimo con la mondanità spesso fastidiosa, profuga dai centri, che
v’inchioda fra le sue norme, i suoi precetti ed i suoi confini: nulla. Solo una
grande sconfinata libertà, un grande
spettacolo di onde e di sole, di cielo e di mare. Una beatitudine materiata di
sogno e di silenzio, qualche volta interrotta spezzata e fustigata dalla
salsedine aspra che vi colpisce, dalla trama di argento che si riflette
luminosissima e trasparente”. La vita si svolgeva, fino al tramonto, al
“piccolo stabilimento Flavio Gioia”. Poi in barca: “Ognuno – notava Cesare
Afeltra – non vorrebbe perdere questi istanti di godimento intensissimo,
nello sfondo lontano che si perde in una linea senza colore sotto gli ultimi
raggi del sole cocente, con una visione nostalgica nell’anima per questo
scenario che sembra lo sfondo del passato ricordo di una fiaba infantile.
Confusi giungono trilli di mandole con suoni di chitarre su sfondo opaco, cupo,
caratteristico che somiglia quasi ad un tamburo per tutte le cose morte; poi
una voce appassionata, lenta come un singhiozzo… È un rito. Si canta pel sole
che muore nel mare, che affonda dietro l’isola rossa delle sirene. E il canto è
lieve, si perde, svanisce…”.
Sul
Mezzogiorno del 13 agosto del 1923 Ugo Fruscione, un giornalista che per oltre
mezzo secolo ha raccontato fatti e personaggi, oltre che le vicende politiche,
sociali, economiche della nostra provincia, descriveva così il viaggio da
Salerno ad Amalfi: “Con questa afa irrespirabile correre in un auto veloce
attraverso paesi pittoreschi e ridenti costituisce uno svago e un refrigerio
delizioso. Con l’ “Alfa” elegante e rapida, che la cortesia squisita di
Ciccilluzzo Gargano ha messo a nostra disposizione, partiamo da Salerno per
l’incantevole e decantata costiera di Amalfi. Superati gli ostacoli, quasi
insormontabili, della strada Salerno-Vietri, che meriterebbe più vigile
attenzione da parte delle Autorità provinciali, attraversiamo di volo Cetara,
civettuola e rinomata per le sue ‘alici in salamoia’; passiamo accanto ad
Erchie, angolo paradisiaco di questa terra di sogni, ove i rudi lavoratori del
mare affaticano le braccia robuste nella pesca del tonno, e arriviamo nella
quieta e industre Maiori che ha fama per le sue cartiere e per i maccheroni
gustosissimi. Uno ‘chop’ di birra offertoci dai buoni amici di Maiori, in quel
“parterre” fresco e verdeggiante del Circolo sociale (che non esiste più,
n.d.r.), ci fa sostare qualche minuto. Riprendiamo a rallentare per ammirare lo
spettacolo fantastico del ‘Miramar’ (il castello Mezzacapo, a quel tempo
albergo, poi ristorante e night club,
ora in via di trasformazione in residenze di lusso per vip, n.d.r.) dalle
guglie elevantisi nel fitto del parco foltissimo. Si passa fra Minori e Atrani,
bianchissima, anche nella notte, ci appare col suo campanile moresco… Siamo ad
Amalfi…”.
La
città era “piena di forestieri e di villeggianti”. Allo storico ‘Cappuccini’
alloggiavano per lo più comitive di americani. Al ‘Riviera’, famiglie
napoletane. Alla pensione ‘St. Catherine’, i clienti erano tutti italiani, e di
primissimo ordine. Fruscione vi incontrò il drammaturgo Roberto Bracco. Una
casa del centro ospitava il giornalista Matteo Incagliati “dal sorriso buono,
fraterno”, amico del segretario comunale Luigi Afeltra, uomo di grande spessore
culturale, che intratteneva stretti rapporti con artisti e letterati. Al ‘Luna’
si godeva un meritato riposo l’avvocato salernitano Guido Vestuti.
“La
spiaggia – continuava Fruscione – è affollata da dame e signorine
elegantissime”. Alcune, in mancanza del fotografo (di quell’epoca esistono
delle istantanee di Tommaso Piumelli, che documentano vita e costumi), le fece
ritrarre da un giovane pittore, Ignazio Lucibello, allievo di Pietro Scoppetta,
che è stato l’ultimo grande paesaggista tra i cosiddetti ‘costaioli’.
Sul
Mattino del 23 agosto 1923 si legge che “gli alberghi rigurgitano di
forestieri. Molti privati hanno offerto le loro stanze disponibili agli ospiti
gentili. Ogni giorno è un andare e venire di automobili, vetture pubbliche,
cutters e motoscafi, trasportanti carovane di gitanti, turisti, ma soprattutto
bagnanti. Una folla di graziose bambine, di candide fanciulle, di vaporose
signore che inondano le nostre strade, inebriandosi al fascino e all’ebbrezza
che emanano il nostro lido profumato di alghe. Le nostre strade, sempre
fresche, perché innaffiate tutti i giorni da abbondanti e potenti getti
d’acqua, accolgono tutto uno sciame di allegre e spensierate fanciulle le
quali, non più costrette dal rigido convenzionalismo e dalla moda dei grandi
centri, si danno alla pazza gioia ed a braccetto camminano con le chiome
sciolte, in tenui leggiere e svolazzanti vestine, cantarellando canzoni
d’amore. La spiaggia è tutta cosparsa di candide tende, ove le veneri gentili
completano le loro ‘toilettes’, coprendosi di quelle graziose cuffiette di tela
gommata a vividi colori, prima di tuffarsi nelle terse acque del nostro glauco
mare. Ogni sera allo stabilimento balneare, al ‘Cinema Unitas’, al ‘bar
Florian’, per tutte le strade litoranee, splendidamente illuminate a luce
elettrica, è un via vai di gente, un avvicendarsi di amici, strette di mano,
parole galanti e occhiate languide. Al ‘bar Savoia’, il Comm. Incagliati, lo
ing. Cav. Santolo Camera e il commendator avv. Spera, circondati da numerosi
amici, tengono circolo raccontando facezie. L’avv. Arturo Petrosini che da
molti anni, con la sua gentile famiglia, è un assiduo frequentatore del nostro
paesaggio, è esuberante di ‘verve’, ed i suoi racconti salaci, accompagnati da
una mimica insuperabile, riscuotono l’ilarità e il compiacimento di tutti”.
In
quell’agosto meritò gli onori della cronaca “il battesimo di un suo
grazioso primogenito” nell’abitazione del sindaco avvocato Girolamo Gambardella.
“Ci fu un gran ricevimento. I numerosi e splendidi saloni, sfarzosamente
illuminati e messi a fiori, accolsero quanto di più scelto e aristocratico
offre la colonia dei bagnanti e la nostra fine società”. Agli invitati furono
serviti “gelati finissimi, svariati liquori e paste squisite. Indi si fece
dell’ottima musica”. Il giorno prima il sindaco aveva ricevuto la visita del
nuovo prefetto, accolto, al suo arrivo ad Amalfi, da una sfilata dei fascisti
locali, “fieri e pettoruti, preceduti dal gagliardetto e dalla fanfara”.
©
Sigismondo Nastri
Nessun commento:
Posta un commento