Salerno, cortile di Palazzo Pinto
Biblioteca Provinciale, Palazzo Pinto
Sabato 29 giugno 2014, ore 9.30
“INTORNO AL QUADRO”
Ricordo di NINO BASSI
Per anni io e Nino Bassi ci siamo dati il voi. Non è
che avessimo una frequentazione assidua. Avevamo un amico comune, l’industriale
grafico e cartario Giuseppe De Luca, altro personaggio da non dimenticare in
questo nostro mondo che ha memoria corta. Fu proprio Peppino De Luca a farmelo
conoscere, un giorno, nella sua azienda, mentre guardavamo un dipinto che aveva
appena aggiunto alla sua collezione. Nino Bassi accompagnava spesso De Luca a
fiere, mostre, aste. A girare per botteghe d’antiquariato, bancarelle di rigattieri.
Passo dopo passo si arricchiva la loro collezione di stampe antiche.
Quando ci fu a Salerno la prima mostra di stampe,
all’istituto Vicinanza, credo – poi ce ne furono altre –, per un disguido fu
omesso sul manifesto il nome di Nino Bassi. Ci rimase male, ma non lo diede a
capire. Solo che, la notte, secondo quello che mi è stato raccontato, si mise
alla ricerca sui muri di tutti i manifesti che erano stati affissi e ve lo
aggiunse. Con la penna o, forse, con un pennarello.
Ho detto che ci davamo il voi. A me incuteva soggezione
perché lo vedevo come un ‘vecchio’ (tra virgolette) filosofo, saggio, erudito,
ne apprezzavo le acute osservazioni. Finché un giorno mi disse: “Ma perché
darci del voi?. In fondo, abbiamo la stessa età”. Lui, sei anni più di me. E
siamo andati avanti così fino alla fine.
La cosa che mi colpiva di lui era che sapeva dare
valore anche alle piccole cose. Nulla veniva scartato. Un giorno gli capitò tra
le mani un pezzo di legno: una stecca di una vecchia cassetta di legno. C’era
sopra una scritta: MONPIGAR. Gli spiegammo che era il marchio di una ditta
attiva in Calabria fino all’immediato dopoguerra, di proprietà di tre famiglie
atranesi: Montagna, Pisani, Gargano. Produceva fichi al cioccolato e altre
dolci leccornie. Raccolse quel pezzo di legno, che altrimenti sarebbe finito
nei rifiuti, e se lo portò via.
Nino era un innamorato pazzo di Salerno e del suo
territorio. Un puntiglioso e attento raccoglitore e custode di patrie
memorie: storiche, artistiche,
letterarie. Per passione, interessi
culturali, per sentimentalismo. Mi disse che era andato a un’asta a comprare un
dipinto di Arnaldo De Lisio, un pittore abruzzese, però di scuola napoletana,
vissuto tra la seconda metà dell’ottocento e la prima metà del novecento. Lo
aveva acquistato perché gli piaceva, ma soprattutto per un omaggio alla memoria
della nonna, che portava lo stesso cognome.
Come ho avuto modo di scrivere sul mio blog, Nino era
ossessionato, negli ultimi tempi, dall’idea di dare una degna collocazione alla
gran mole di materiale che era riuscito a mettere insieme, salvandolo dalla
dispersione, dalla distruzione, dall’oblio. Non aveva ancora deciso se
affidarlo all’Archivio di Stato, al Museo provinciale o al Museo diocesano. Sarebbe auspicabile che questo patrimonio di grande valore storico-culturale (non certo economico) potesse essere affidato a un'istituzione culturale per essere a disposizione degli studiosi. Non
so dire se Nino avesse già preso contatto con qualcuna di queste istituzioni. Pochi
giorni prima di andarsene, mi domandò se ero disposto a fare da suo esecutore
testamentario. “No - gli risposi -, non
mi sento di assumere una tale responsabilità. E poi, chi ti dice che non sarò
prima io ad andarmene?”. Il discorso si chiuse lì.
La prospettiva di dover morire lo inseguiva, ma non
gli pesava più di tanto. Continuava a fare la sua vita, che aveva ritmi e orari
singolari. La mattina era irreperibile. Mi diceva che si svegliava quando per
la gente normale era quasi ora di pranzo. Lui, intanto, mangiava qualche frutto
per colazione. Si svegliava tardi perché la sera, e fino a notte alta, la
trascorreva al Circolo dei Canottieri, il suo punto di riferimento abituale. E
non disdegnava (anzi, gli piaceva: nei suoi trascorsi giovanili c’erano ardite
trasversate via mare, in barca a vela: una fino alla Grecia) di imbarcarsi su
una pilotina per andare incontro alle navi in entrata nel porto. Al Circolo dei
Canottieri trovava a disposizione i quotidiani del mattino e si dedicava a
leggerli, a confrontarli. Non trascurava niente, neppure certi editoriali di
Repubblica che – confessava – gli facevano storcere il naso. Poi magari, i
giornali che più lo interessavano, se li portava via. Il suo rammarico era che,
spesso, li trovava piegati sul tavolo, neppure sfogliati. Ne aveva la macchina
piena. Tanto che una volta, che volle darmi un passaggio, feci fatica a
entrarvi. Credo che abbia lasciata la casa piena di giornali. Evidenziava le notizie,
gli editoriali che più lo avevano colpito, staccava i fogli e li accatastava.
Nei giorni in cui New York era sconvolta dall’uragano
Sully – ho già avuto modo di scriverlo - mi raccontò di aver letto su Cronache del Salernitano un reportage su
quel tragico evento, che aveva particolarmente apprezzato. Gli era proprio
piaciuto per la nitidezza del linguaggio, per la vastità e la completezza delle
informazioni. Lo giudicava un esempio di giornalismo straordinario: tanto più
che non era uscito in un grande giornale ma su un piccolo quotidiano di
provincia. Si riprometteva di andare dal direttore, Tommaso D’Angelo, per
felicitarsi. Mise la mano in tasca e tirò fuori la pagina con l’articolo. “Guarda
la firma!” esclamai. Era quella di mio figlio Antonio, che aveva trasmesso il
servizio, corredato da fotografie, dalla metropoli statunitense. Volle
assolutamente conoscerlo, cosa che avvenne il 29 luglio dello scorso anno, a
Villa Guariglia, in occasione della presentazione del mio libro “Ho coltivato
sogni”. Nino non sapeva della mia passione per la poesia. Ne gioì molto.
Le ultime confidenze raccolte da lui risalgono a tre o
quattro giorni prima di quel 23 ottobre, che ce lo ha portato via.
C’incontrammo, come sempre avveniva, nel nostro quartiere, a Torrione. Le
nostre case sono a un tiro di schioppo. In certi casi era lui che veniva a
chiamarmi al citofono, invitandomi a fare due passi insieme. Mi confidò, quella
sera, che aveva avuto un dolore al torace. Ma aggiunse di essere andato dal
cardiologo, che dopo averlo visitato, e fatti eseguire i dovuti esami, lo aveva
invitato a non crearsi fissazioni perché il suo cuore era sano. A ripensarci
ora, mi convinco che dal cardiologo non c’era stato e che quell’affermazione
gli serviva per darsi coraggio.
Poi è avvenuto quel che è avvenuto. Perché nella vita
di ognuno c’è sempre qualcosa di imprevedibile, di imponderabile nascosto dietro
l’angolo. Ma per quello che Nino ha rappresentato nella società salernitana,
per quello che ha dato alla sua città, è giusto che se ne perpetui la memoria.
Grazie, perciò, a Barbara Cussino che s’è fatta carico di promuovere e
organizzare questo nostro incontro.
Sigismondo Nastri
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