mercoledì 4 dicembre 2013

STOCCO E PATATE, CHE PASSIONE!

Che bella giornata s'annuncia! Dopo le tempeste dei giorni scorsi, ecco finalmente un cielo  azzurro. Senza una nuvola. Fa fresco, ma quando non c'è umidità, e stamattina il tempo è asciutto (secco lo definisce la meteorologia), si può stare sul balcone - con un po' d'incoscienza - anche a torso nudo. Quale occasione migliore per mettermi ai fornelli e dare sfogo alla  passione per la cucina: non quella con la A maiuscola, ma la cucina "paesana" di Amalfi e costiera, che ho cercato di recuperare e tutelare attraverso ricette, raccolte dalla viva voce di di vecchie signore, per lo più appartenenti alla generazione che mi ha preceduto, in buona parte pubblicate in questo mio blog.
Non mi piace la gastronomia d'autore, quella che ti propone piatti belli a vedersi come opere d'arte, ma che poi ti lasciano lo stomaco vuoto. Tanto che, all'uscita dal ristorante, ti viene subito la tentazione di entrare in una pizzeria..
Amo odori e sapori forti. Penetranti. Da poterci poi accompagnare un buon bicchiere di vino (rosso, naturalmente).
Ragionando così, oggi la scelta non poteva cadere se non sullo stocco con le patate. Ne ho trattato già in questo spazio, cinque o sei anni fa. Non mi resta che trascrivere qui ciò che ho scritto allora.

Ricordo che, quand’ero ragazzo (cioè nell'immediato dopoguerra), ad Amalfi lo stocco lo compravamo da Alfonso Valentino, che lo spugnava (lo ammollava) in delle vasche di pietra nel suo negozio (aveva due ingressi, da una parte alimentari e salumeria, dall’altro stoccafisso e baccalà) in cima alla via Pietro Capuano, quasi di fronte alla fontana  d’ ‘a Capa ‘e ciuccio. La morte dello stocco, si diceva allora, è con le patate. Piatto forte, popolare, che faceva la gioia dei carrettieri quando (e qui il riferimento è al periodo anteguerra), lungo la strada della Costiera, si fermavano a rifocillarsi in un’osteria. Cito quella del Caporale a Minori e quella di mastu Camillo (il padre della mitica Gemma) ad Amalfi, giù agli arsenali.
Erano tempi in cui la spesa si faceva con la libretta. A debito,  che veniva saldato (quando non ci si limitava a un acconto) nel corso dell’anno. Era una usanza, diciamo così, generalizzata, che coinvolgeva tutti gli strati sociali. Una moda per quelli socialmente più elevati, una necessità per gli altri. Insomma, avenno, putenno, pavanno. Anche perché il pagamento delle retribuzioni, sia nel settore pubblico che in quello privato,  non avveniva con regolarità. Mio padre, ad esempio, impiegato comunale, riceveva lo stipendio due o tre volte nell’arco dei dodici mesi: a Natale, a Pasqua, nella ricorrenza della festa patronale, se tutto andava bene. Altrimenti, pazienza. Nelle casse del Comune di Amalfi – la tesoreria la gestiva il commendatore Giulio Bianchi per conto della ditta Rezzi, appaltatrice delle imposte di consumo, cioè del dazio - non c'era mai disponibilità di denaro.
I negozi di alimentari di Amalfi più importanti erano quello di Assunta ‘e Veneranna (altrimenti denominato ‘A Gran Bretagna, antesignano degli attuali supermercati), il citato Alfonso Valentino, don Peppe Cavaliere (dint' 'e ddoje mure, poi sulla Sciulia), ‘O Zivillo (al largo Spirito Santo), Pittiasso (all'angolo tra  piazza Duomo e la Porta della Marina) e don Antonio Buonocore  (in piazza Duomo, accanto all'ingresso del seminario). Adesso lo stoccafisso costa caro. Proprio ieri,  al mercato del venerdì, qui a Maiori, ne ho acquistato un pezzetto di circa ottocento grammi pagandolo otto euro e cinquanta (ne ho acquistato altrettanto oggi e mi sono accorto che il prezzo, sei anni dopo, è rimasto pressoché invariato). Ma era veramente buono. Mi sono divertito a prepararlo secondo la ricetta appresa da mia madre, descritta qui di seguito. L’ho gustato fino all’ultima briciola (avverrà così anche oggi).
Ingredienti: stocco (ammollato). Pomodorini (ovvio,  quelli del piènnolo). Patate a pasta gialla (le ho avute da Tramonti). Olio extravergine d’oliva, cipolla, peperoncino piccante, prezzemolo, sale q.b.
Tagliato lo stocco a fette larghe due o tre dita, lo si lava e lo si fa sgocciolare bene. Intanto, si mette a soffriggere nell’olio la cipolla affettata sottilmente – e magari anche uno stelo e qualche fogliolina di sedano (ma poi non va usato il prezzemolo!) - aggiungendovi subito dopo le patate tagliate a pezzetti, come pure i pomodorini. Senza dimenticare il peperoncino. A metà cottura, si pone nel tegame lo stocco e si completa la preparazione controllando che non attacchi al fondo del tegame. Se c’è bisogno (cioè, se ci si accorge che il sugo si sta restringendo troppo), si fa ricorso a un filo d’acqua. A fine cottura, si cosparge sulla pietanza una buona manciata di prezzemolo tritato. Da servire caldo.
Alcuni suggerimenti. Per smorzare il penetrante odore dello stocco, che non tutti gradiscono (non sono tra questi: per me va benissimo), lo si può fare preventivamente sbollentare per qualche minuto in acqua non salata. Nel soffritto, al posto della cipolla, si può usare l'aglio.
De gustibus non est disputandum.
© SigiNastri 2000 (dalla raccolta "Cucina paesana della Costa d'Amalfi")

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