“Amalfi e le sue cartiere” di Teresa Amatruda,
presentato nell’Arsenale di Amalfi il 7 dicembre scorso, è un bel libro: per la splendida candida carta,
prodotta dalla stessa autrice e dalla sorella Antonietta nella loro cartiera, per la elegante impostazione grafica, curata da Cosimo Budetta, per
la nitidezza della stampa affidata all’Industria grafica e cartaria De Luca.
Ma, soprattutto, e principalmente, per la ricchezza del contenuto: in termini
di racconto e di analisi storica.
La cartiera Amaruda in un disegno di ignazio Lucibello |
E’ un lavoro che, sicuramente, nasce da lontano e ha
richiesto tempo per arrivare in porto. La pubblicazione, non per caso, è
avvenuta in concomitanza col centenario della nascita di Luigi Amatruda, il
papà di Teresa, al quale il libro è dedicato. L’esergo riproduce una frase di
Cicerone: “Memoria est thesaurus omnium rerum et custos” (La memoria è tesoro e
custode di tutte le cose). Ma è anche – aggiungo citazione a citazione – “l’unico
paradiso da cui nessuno ci può scacciare” (Jean Paul). A essa si affida, innanzitutto, Carlo De Luca
che, in una “nota di ricordi”, ricostruisce minuziosamente i rapporti intercorsi
tra Luigi Amatruda e suo padre, Andrea De Luca – meglio, tra la famiglia
Amatruda e la famiglia De Luca – sotto l’aspetto umano e quello
commerciale. La carta, straordinariamente bella, della vecchia cartiera
riusciva a diventare oggetto d’arte dopo che vi venivano impressi i caratteri a
stampa nella tipografia De Luca per dar vita a pubblicazioni che, ancora oggi,
sono ricercatissime sul mercato antiquario. Come il “De bibliotheca” di Umberto
Eco, che fece dire allo scrittore: “Non ho mai avuto un libro stampato in modo
così eccezionale!”. O quelli della “collana del forese”, ideata da Giuseppe De
Luca: dalla “Canzone del Guarracino” a “Pesci e piatti di pesce”.
Teresa Amatruda parte da un tema spinoso: le
origini del fabbricar carta ad Amalfi. Quando, come, dove. Sfuggendo,
intelligentemente, la querelle della primogenitura nei confronti di altri
luoghi, vedi Fabriano. Se ne discuterà l’anno prossimo quando Amalfi ospiterà,
come mi ha riferito Angelo Tajani, altro epigono di un'antica stirpe di cartari, il convegno degli storici della carta.
Teresa,
attraverso la consultazione diretta dei documenti d’archivio, a cominciare da
quelli conservati in famiglia, traccia una mappa completa delle cartiere
operanti nei due siti in cui è ripartita – il Chiarito di sopra e il Chiarito
di sotto – la cosiddetta Valle dei Mulini. E ne ricostruisce le vicende
storico-economiche, compresi i passaggi di proprietà, dal XVIII secolo a oggi. Con
una particolare attenzione a quelle situate a monte della Cartiera Grande,
ormai ridotte a ruderi.
La seconda parte del libro è dedicata agli
Amatruda, con una doverosa duplice sottolineatura: “amalfitani” e “cartari”. Ne
ripercorre le origini, le vicende, la genealogia. Per far capire che la loro è
una storia strettamente legata alla città e a questo tipo di attività,
sopravvissuta persino alla seconda guerra mondiale, ma inesorabilmente
compromessa – e sembra davvero un controsenso – dal boom economico degli anni
sessanta. “I gravi problemi legati al trasporto della materia prima e del
prodotto finito – scrive Teresa Amatruda, – unitamente al deterioramento dei
fabbricati stessi e all’usura dei macchinari, costringono i fabbricanti a
chiudere i loro opifici: i primi ad abbandonare l’attività saranno quelli della
Ferriera, penalizzati fortemente dal trasporto unicamente a spalla”. Tra loro,
Francesco Imperato, che andò ad impiantare un nuovo stabilimento a Palermo.
Nel fondo valle, dopo la chiusura della cartiera di Umberto Dipino, il quale si trasferì a Napoli, rimasero in funzione solo due cartiere: quella di Nicola Milano, poi trasformata in Museo, e quella di
Luigi Amatruda; altre tre, ex proprietà Dipino, furono date in gestione a maestri cartai
lavoranti in proprio: Raffaele Anastasio (ex cartiera G. Imperato), Antonio
Cavaliere (ex cartiera A. Dipino) e Andrea Cretella (ex cartiera A. e G.
Dipino). Ma tutte, dopo qualche tempo, chiusero i battenti. Ultima, quella tenuta da Cavaliere, che ha funzionato fino all'inizio del 2000.
Tenace, caparbio, aggrappato
alle radici come la Rossella O’Hara di “Via col vento” lo era a Tara, don Luigi
Amatruda si rimboccò le maniche e nel 1963 avviò la produzione di fogli da
lettera e da stampa. Con difficoltà, sacrificio di lavoro e di risorse, apportando
via via i necessari adeguamenti tecnologici ai vetusti impianti, senza tuttavia
stravolgere l’artigianalità del prodotto.
Luigi e Rosa Amatruda |
Fu l’inizio del successo della
cartiera Amatruda, riconosciuto in tutto il mondo, apprezzato da editori e artisti.
Colpito, però, da un male incurabile, egli venne a
mancare nel giugno del 1979. Sembrava che il suo sogno, la sua utopia, si
fossero bruscamente, e dolorosamente, interrotti. Invece, la moglie Rosa, dapprima,
e poi le figlie, hanno voluto continuarne l’opera. Per onorarne la memoria. Lo hanno fatto, lo stanno facendo, con
la stessa tenacia, la stessa caparbietà, la stessa forza morale del genitore.
Mi trovavo proprio di fronte alla cartiera
Amatruda, l’altra sera, per una rimpatriata con un gruppo di ex alunni. E
guardando quell’edificio, che cavalca il torrente, lì, nel cuore della valle
che era (è) anche la “mia” valle, per esserci nato e cresciuto, mi veniva spontaneo
pensare a Via col vento: là dove Rhett Butler (Clark Gable) dice a Rossella O’Hara:
“Trai la tua forza da questa terra, da
Tara. Tu ne sei parte ed essa è parte di te”.
Mi rallegro, perciò, con Teresa Amatruda e formulo a lei e alla sorella Antonietta i migliori auguri perché la loro impresa raggiunga traguardi sempre più prestigiosi e gratificanti. Di riflesso, se ne gioverà Amalfi.
Mi rallegro, perciò, con Teresa Amatruda e formulo a lei e alla sorella Antonietta i migliori auguri perché la loro impresa raggiunga traguardi sempre più prestigiosi e gratificanti. Di riflesso, se ne gioverà Amalfi.
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