Una giornata all’insegna dell’arte, quella di
domani (giovedì 14 novembre): e non perché, dall’inizio di questo mese, Salerno
mostra un’immagine prenatalizia (manca ancora… l’albero in piazza Portanova)
con le “luci d’autore”. Alle ore
sedici, l’ho già scritto, nel salone del Gonfalone di palazzo di Città, è in
programma la presentazione del libro di Massimo Bignardi, “Praticare la città”,
titolo che mi sembra abbastanza emblematico anche riferito alla nostra realtà.
Quasi in prosecuzione di questo appuntamento, alle
ore diciotto, presso la Pinacoteca provinciale in via dei Mercanti, s’inaugura
la personale di Danilo Maestosi, “L’era glaciale”, a cura di Alfio
Borghese e Erminia Pellecchia, organizzata dall’associazione “Amici dei Musei”
col patrocinio dell’assessorato ai Beni culturali e al patrimonio della
Provincia e la disponibilità della direzione dei musei e biblioteche
provinciali.
Danilo Maestosi: Danilo |
Alle pareti, venticinque dipinti recenti, sulla
scia della mostra presentata la scorsa estate al Palazzo delle Arti di
Frosinone e in anteprima all’allestimento previsto al Vittoriano di Roma la
prossima primavera: Maestosi lavora sul bianco, un colore – spiega – di gestazione, il colore dell’era glaciale, come lo chiamava Kandinsky,
padre fondatore dell’arte contemporanea. “Altre possibili coltivazioni, creare
un ponte tra ciò che esiste e ciò che ancora non esiste attraverso l’innesto,
perché diventi invisibile la linea di cesura”, sottolineano Borghese e Pellecchia
nel testo, “Il giardino dell’utopia”, che accompagna l’esposizione salernitana.
Il pittore si interroga sul presente, “su questo infinito deserto di un tempo
senza luogo e di una desolazione senza poi”, scavando nel passato, quasi
archeologo dell’anima, e portandolo alla luce per innestare le possibili,
autentiche direttrici del divenire. “Quasi volesse ricordare le nostre origini
contadine, la possibilità di trasformare la pianta, di restituire vita al
tronco morente – osservano ancora i curatori della mostra –, Maestosi,
nell’oscillazione ariosa di geometria e astrazione lirica, in quei segni e
colori che si sviluppano in continua metamorfosi, sembra consegnare e
restituire allo spettatore-attore una speranza per il futuro”. I botanici,
ricorda l’artista, “ricavano nuovi sapori e nuovi frutti o riportano a galla
essenze ormai estinte incrociando specie vegetali attraverso sovrapposizioni,
incisioni e ferite. Fare arte oggi non è molto diverso. La pittura come grido
di stupore e silenzio. Vita che spunta sotto una coltre di ghiaccio.
Maneggiamola con cautela: è molto fragile”.
Danilo Maestosi: Fare e disfare le nostre prigioni |
Danilo Maestosi, sessantanove anni, romano, ho avuto modo
di conoscerlo qualche tempo fa (parecchio tempo fa, nel 1998: Dio come passa il
tempo!), a Ravello, in occasione di un’altra sua mostra, a palazzo della Marra.
Ricordo che ne rimasi piacevolmente impressionato (per quel che può valere la
mia “impressione”, visto che non mi reputo un “addetto ai lavori”). Egli, sì
che lo è: perché svolge contemporaneamente l’attività di giornalista e critico
d’arte (ha lavorato per Il Tempo, Paese Sera, Ansa, Rai, e ora con Il
Messaggero) e quella di pittore. Con un impegno e una visibilità di tutto
rispetto. Ho citato prima Ravello, dove tenne la sua prima personale, dal
titolo "Come ombre sui muri”. Le più
recenti sono quelle tenute nel 2012 alle Carceri papaline di Montefiascone (“Miraggi di sangue, di sale, di spezie”) e nel 2013 nella villa comunale di
Frosinone (“Innesti”). Egli, mi viene sottolineato, ama lavorare per cicli: che si sono tradotti nelle
mostre presentate al museo del Vittoriano di Roma: “Lunario”
(2005), trasferita poi a Napoli e Potenza; “Le mille e una seta” (2008), riproposta
a Berlino; “Concerto-Sconcerto” (2010), replicata a Viterbo e a Lodi. Ad esse va associata “Parabole”, del 2007, allestita al Macro di Roma, poi al Cairo e
in altre città egiziane, infine - con formula diversa - al museo Ramatgan di
Tel Aviv. E non finisce qui. Nel 2011 Maestosi ha
partecipato alla collettiva in memoria della Shoa a Tel Aviv e a quella dedicata al grande viaggiatore veneziano, “Sulle orme di
Marco Polo”, ad Hang Zou in Cina. Per quattro anni, dal 2010, è stato invitato
al Festival del Cinema per ragazzi di Giffoni Valle Piana. Sempre nel 2011, è stato tra i protagonisti della
mostra-riflessione “Noi credevamo. Identità graffiata” ai Dioscuri del
Quirinale. Quest’anno, per la seconda
volta, è stato invitato al Premio Sulmona.
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