Amalfi, Biblioteca
comunale
Lunedì, 15
luglio 2013, ore 17.00
Il mio
intervento alla presentazione del libro
“Quanti nonni in cucina!/
Ricette, parole e ricordi”
di Teresa
Grimaldi Savo
Non senza motivo Teresa
Grimaldi ha deciso di presentare il suo libro oggi, 15 luglio, il giorno in
cui ricorre la festività di san Bonaventura. Un gesto di affetto verso l’amato
Bonaventura: caro a lei, perché compagno inseparabile della sua vita, scomparso
nel mese di settembre di due anni fa; caro a noi amici che lo rimpiangiamo con
tanta nostalgia. Un uomo mite, buono, leale, generoso, disponibile - dissi di
lui in quella dolorosa circostanza - che ancora ci manca e continuerà a
mancarci. Come manca a Teresa, che ha voluto inserire nel libro alcune sue fotografie: lo ritraggono nell’intimità della famiglia;
nel lavoro, in quella libreria – il suo mondo, il suo punto di osservazione del
mondo - che Pina Torre definì simpaticamente “caos organizzato”; nel tempo libero, insieme con alcuni degli
amici più cari. O, per lo meno, quelli che avevano con lui una frequentazione
più assidua. Perché di amici Bonaventura ne aveva davvero tanti.
Ma non c’è solo Bonaventura nel libro, che è un vero e
proprio album di memorie. C’è Gemma, la mamma: la mitica Gemma, donna “forte e coraggiosa – la descrive Teresa
-, mai domata dal fuoco, mai dalle
sofferenze, felice di essere sul ponte di comando fino agli ultimi giorni della
sua vita”. Me la ricordo dagli anni della mia prima giovinezza. La
intravedevo dietro la finestra della cucina. Mi saziavo degli odori, dei
profumi che uscivano da quella finestra. Poi, negli anni sessanta, andai ad
abitarci, dirimpetto, e le fragranze della cucina di Gemma mi arrivavano fino
in casa.
Quando Peppino De Luca, il 1° settembre 1999, in occasione dell’Amalfi by night, regalò a Franco e Maruzziello un registro, fatto con la meravigliosa carta di Amatruda, fiore all’occhiello di Amalfi nel mondo, per raccogliere firme e giudizi dei clienti, mi invitò a riempire la prima pagina con qualcosa di mio. Buttai giù, quasi di getto, una poesia in napoletano che ora, con qualche adattamento, ho inserito nel volume “Ho coltivato sogni”, che sarà presentato mercoledì 31 luglio, alle ore 19.00, sulla terrazza di villa Guariglia a Raito.
GEMMA, RIGGINA D’ ‘A CUCINA
Quando Peppino De Luca, il 1° settembre 1999, in occasione dell’Amalfi by night, regalò a Franco e Maruzziello un registro, fatto con la meravigliosa carta di Amatruda, fiore all’occhiello di Amalfi nel mondo, per raccogliere firme e giudizi dei clienti, mi invitò a riempire la prima pagina con qualcosa di mio. Buttai giù, quasi di getto, una poesia in napoletano che ora, con qualche adattamento, ho inserito nel volume “Ho coltivato sogni”, che sarà presentato mercoledì 31 luglio, alle ore 19.00, sulla terrazza di villa Guariglia a Raito.
GEMMA, RIGGINA D’ ‘A CUCINA
Si a stu paese nun tramonta
’o sole
- comme dice ’o pruverbio -
’o sole è Gemma
riggina d’ ’a cucina
e ll’arta soja l’hanno ’mparato
’e figlie
pe’ n’ ’a
fà’ scumparì.
Nun ’a vedimmo cchiù
ma Gemma è viva
basta sentì l’addore
d’ ’e tielle,
d’ ’e cassuole, pignate,
e d’ ’e rateglie
ca d’ ’a fenesta ncopp’ ’a Sciulia
se spanna p’ ’e Ferrare
e mmiez’ ’a chiazza.
È viva Gemma
dint’ ‘o sapore d’ ’e piatanze antiche
e nove
ca fanno ’e chistu posto
’o vero paraviso d’ ’o magnà.
Tornando al libro di Teresa, non so proprio da dove
cominciare: se dalle ricette o proprio da quell’album,
al quale accennavo prima, che a sfogliarlo suscita emozioni e rimpianti.
Innanzitutto per un’Amalfi che non c’è più: integra, pulita, ancora con una
patina antica nella sua struttura paesaggistico-ambientale, con un fascino, una
identità, che via via diventa sempre più difficile identificare. Il turismo
mordi e fuggi, se pure procura vantaggio a pochi, non risponde certamente alle esigenze di una
località rinomata com’è la nostra città. Ma è un discorso, questo, che potrebbe farci
deviare dal tema di questa sera. Che è il libro. Nel quale trovano spazio, sia
pure soltanto con una foto, personaggi che hanno fatto la storia di Amalfi e
del territorio. Cito don Antonio Savo, il libraio gentiluomo; don Peppe
Amendola, uno dei pionieri dell’attività ricettiva; Gaetano Afeltra, il grande giornalista che le
ha regalato pagine di amore struggente; Attilio e Plinio Amendola, che per decenni
hanno avuto un ruolo di primo piano nella vita politica e amministrativa della
città, con attenzione soprattutto al turismo. E, poi, il Mofone, Cardella (cioè Bordello),
Catozzo.
Dulcis in fundo, le ricette. E’ fondamentale saper
mangiare. Meglio, sapere ciò che si mangia. Charles Lamb, poeta, scrittore,
drammaturgo inglese, vissuto tra il 1700 e il 1800, ammonisce: “Detesto l’uomo che manda giù il suo cibo
affettando di non sapere che cosa
mangia. Dubito del suo gusto in cose più importanti”.
Il saper mangiare è importante nella vita delle
persone. Il duca di Durcey, almeno così viene tramandato, vedendo Cartesio
mangiare buone pietanze, gli disse, sfruculiandolo: “Anche i filosofi si dilettano di queste delicatezze?”. Al che
Cartesio rispose: “Credete dunque che la
natura le abbia prodotte solo per gli imbecilli?”.
‘A cannarizia è un vizio, addirittura un peccato, ma è un vizio
intelligente - non come quello del fumo, per intenderci- E’ soprattutto un
piacere, il piacere di gustare le buone pietanze che fanno parte della nostra
storia, della nostra cultura, della nostra tradizione. Quelle che ci sono state
trasmesse da madri e nonne. Magari condividendole con gli altri, perché – insegna
un proverbio napoletano – “chi magna sulo
s’affoca”.
Il richiamo a madri e nonne dimostra che, in fatto di
cucina, io resto inguaribilmente tradizionalista. Non che rifiuti le
sperimentazioni, ma conservo verso di esse un minimo di diffidenza. Ecco perché
mi piace questo libro: perché non insegue le novità, ma ricalca e rivisita la
lunga consolidata e collaudata tradizione familiare che ha fatto di Gemma la
regina della ristorazione. Proprio
l’altro giorno, un signore, a Salerno, al quale avevo riferito dell’appuntamento
odierno, mi ha riferito di aver mangiato, in tempi lontani, una pasta alla
genovese fatta da Gemma che era il massimo della bontà. “Così - ha aggiunto - non ne ho
più mangiata”. Eppure si tratta di uno che abitualmente frequenta ristoranti
di buon livello.
E’ da un po’ di tempo – meglio, da un bel po’ di tempo
- che i libri di cucina affollano gli scaffali delle librerie e nelle edicole
di giornali: frutto, forse, di un ritrovato desiderio di avvicinarsi a quel
retaggio di cultura gastronomica che ci è stato affidato dagli avi. A
sfogliarli, tuttavia, si avverte se non
sono pochi coloro che si cimentano in un compito così delicato – mi riferisco
agli estensori di questi ricettari - senza averne competenza o, quanto meno,
senza il supporto di attente ricerche sul campo. C’è uno scopiazzarsi l’un l’altro. Nel
caso di Teresa Grimaldi, le ricette sono autentiche, collaudate, tutte
effettivamente realizzabili a livello domestico-familiare. Semplici e, aggiungo, essenziali: senza che ci sia bisogno dell’ausilio dello
chef. Adatte a chi vuol mangiar sano e bene. Ecco il merito principale del suo
libro. Chi vi farà ricorso non rimarrà deluso: perché ogni pietanza è descritta
con cura, con garbo e con chiarezza, in modo da far recuperare anche alle
persone più riottose, più “imbranate”, il piacere di mettersi all’opera, di
armeggiare con pentole, padelle, forno, con spezie e erbe aromatiche, con
ingredienti genuini - prodotti di terra o di mare - “a chilometro zero”. Senza per forza il bisogno di
elaborare ricette più complicate: limitandosi magari a uno spaghetto aglio e
olio o a un salutare tegame di “alici di nonna Nannina”.
In Romeo e Giulietta di Shakespeare, alla scena II del
IV atto, c’è questa battuta: “Per la madonna, signore, cattivo cuoco è colui che
non sa leccarsi le dita”.
Noi qui stiamo parlando di persone, da mastro Camillo
a Gemma, ai figli (e ora ai nipoti), che le dita se le sono leccate, e come! Ma
che soprattutto hanno fatto – e fanno – leccare i baffi (o le labbra… fa lo
stesso) ai consumatori delle loro pietanze.
Concludo esprimo a Teresa i miei complimenti più
sinceri, con l’augurio che il libro incontri il migliore successo. Perché, al
di là di ogni altra considerazione – i ricordi, gli affetti - esso rappresenta un contributo importante, e
di prima mano, alla conservazione della nostra memoria storica in materia gastronomia:
un campo nel quale era maestro l’indimenticabile Ezio Falcone.
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