Io
non credo nell’astrologia, nella chiromanzia, negli oroscopi: ma a leggere
quello che Peter Van Wood ha scritto
di Raffaele Ferraioli devo dire che
ci ha “azzeccato”. Il carattere dell’uomo – amministratore, politico,
imprenditore, amante delle lettere e delle arti – c’è tutto: spirito
indomabile, forte carica emotiva (cioè, cuore), audacia, concretezza, rispetto
del proprio lavoro. Non so quando l’eclettico musicista svedese, che ci ha
lasciati tre anni fa, ha stilato questo profilo, che apre il libro “Primi
piani”, edito da Officine Zephiro,
nel quale il sindaco di Furore ha raccolto una serie di articoli pubblicati tra
il 1966 e il 1972 su “Mezzogiorno d’Oggi”, periodico napoletano al quale
anch’io ebbi modo di collaborare per qualche tempo, addirittura negli anni
cinquanta.
Scrive
nella prefazione Nino d’Antonio, che
all’epoca era direttore di quel giornale: “Al
di là del rapporto amicale, a sollecitare la sua collaborazione fu la sicura
conoscenza e il continuo aggiornamento di Ferraioli sulla condizione dei paesi
dell’entroterra, da Positano a Vietri sul Mare. E’ questo infatti il territorio
che sulla spinta dei suoi primi servizi, io scoprii come ‘L’altra faccia della
Costiera’, quella cioè che non si offre facile e suggestiva agli occhi avidi
del turista, ma che richiede curiosità, interesse e – allora – anche qualche
disagio per essere conosciuta”. Perché quarant’anni fa “per gli italiani la Costiera s’identificava con Positano, Amalfi e
Ravello, una trilogia consacrata, che già pagava il prezzo di assalti
stagionali, lasciando nel contempo del tutto esclusi i borghi interni, quelli
distribuiti sull’andamento mosso dei Monti Lattari, fra terrazzamenti di
vigneti e limoni”. Il più penalizzato di questi borghi, sicuramente,
Furore: che non ne aveva neppure le caratteristiche. Intendo dire, quelle di un
piccolo agglomerato di case intorno a un campanile. Qui ce n’era un presepe di
case, ma sparpagliate su un territorio vasto, che sale dal mare del Fiordo e
della Praia fino all’altopiano agerolese. Quanto mai efficace, perciò, la definizione
di “paese che non c’è”.
Il
“viaggio” di Ferraioli attraverso la Costiera comincia, e non poteva essere
diversamente, proprio da Furore, piccolo comune soppresso dal fascismo, poi
ricostituito nel 1948. L’autore del libro dà atto del lavoro svolto dal sindaco
Vincenzo Florio, suo predecessore, e
individua “le premesse affinché questo
piccolo paese, finora sconosciuto e negletto, venga a breve scadenza investito
dal ‘boom’ del turismo, per trarre da esso benefici essenziali al suo sviluppo
economico e sociale”. Questo, il 26 settembre 1966. Un auspicio nel quale
accomuna altre località – Tramonti, Scala, Pogerola, Tovere, Nocelle,
Montepertuso – che sono poi state al centro della sua attenzione quando ha
ricoperto il ruolo di presidente della Comunità Montana.
Dalle
pagine del libro emergono cose ormai dimenticate. Come quel Piano di sviluppo del comprensorio
sorrentino-amalfitano, rimasto sepolto negli archivi a futura memoria.
Ferraioli
segue un itinerario che tocca ogni angolo del territorio, Agerola
compresa, ne descrive le caratteristiche storico-artistiche, le peculiarità
paesaggistico-ambientali, ne delinea le istanze facendosene portavoce, fa
ricorso a dotte citazioni letterarie. Compie simpatiche invasioni di campo in
quelli che all’epoca erano i “santuari” della gastronomia. Sempre puntando l’indice
sul problema che più gli sta a cuore, diventato per lui ragione di vita: il
riscatto delle aree collinari, “concepito
non come una sorta di perequazione sociale
ed economica, bensì come una vera e propria catarsi purificatrice”.
Un
libro da leggere, “Primi Piani”, e soprattutto da meditare. Perché – nota
acutamente Nino D’Antonio – “molte delle
situazioni denunciate (40-45 anni fa, n.d.r.) non hanno ancora trovato una soluzione, e per qualcuna il rimedio è
risultato peggiore del male”.
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