Venticinque
anni fa, nel giorno in cui ad Amalfi si celebrava la festa del patrocinio di sant'Andrea apostolo (fu sospesa proprio a causa di quel tragico evento), un’edizione speciale del Giornale di Napoli/Ultimissime, giunta nella stessa mattinata alle edicole della costiera, mi consentì di dare - quasi in tempo reale - la notizia del
crollo di un’ala del palazzo D’Amato, sul corso Reginna, a Maiori, avvenuta nel cuore della notte. Fu uno scoop, non lo
so. Ricordo che, già alle prime luci dell'alba, riferii la notizia per telefono al direttore, Antonio
Sasso. In quel momento si faceva l’ipotesi dello scoppio di una bombola di gas.
Il direttore non ci credette e sparò un titolo che lasciava immaginare un’azione
criminosa. Colse perfettamente nel segno.
Da quel momento seguii la vicenda giorno per giorno, momento per
momento. Con una polaroid - l’unica possibilità, allora, di avere foto
immediate – riuscii a fotografare le macerie, i corpi di reato (le taniche della benzina) e finanche qualche
cadavere affiorante dal cumulo di pietre e calcinacci. Mi infilai di nascosto, sfidando il pericolo, in quegli ambienti a piano
terra devastati dallo scoppio, quando ancora non era intervenuta, per i rilievi necessari, la
polizia scientifica. Poi me ne andai a seguirne l'attività sul terrazzo sovrastante. Qualcuno dovette informare di questo un alto ufficiale dei
Carabinieri che, nell’impossibilità di sequestrare le foto scattate
(le avevo già messe al sicuro), mi ordinò di non inviarle al giornale. Se l’indomani fossero uscite, aggiunse, mi
avrebbe denunciato.
Invece, d’accordo col responsabile della redazione di Salerno, si decise di pubblicarne qualcuna (non quella col cadavere, che avrebbe avuto un forte impatto emotivo), col dovuto rilievo. Mi preoccupavo per le conseguenze alle quali stavo per andare incontro, tuttavia non successe
niente. Ognuno fa il proprio mestiere. Quello del giornalista è di informare,
nel modo più ampio che gli è possibile, dando il massimo di particolari. E quelle
immagini, così esplicative, non dovevano rimanere chiuse in un cassetto.
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