“Ho
coltivato sogni”, edito da De Luca, con l'autorevole prefazione di Rino
Mele, è il libro nel quale ho messo insieme, ripartite in sezioni, le mie poesie.
Quelle che sono riuscito a recuperare dalle carte e dalla memoria del computer.
Molte altre, riferite in particolare agli anni della giovinezza, non le ho
trovate e penso che siano andate perdute. Vi ho inserito anche quelle di Acquamorta,
la breve silloge edita da Rebellato nel 1970, ormai introvabile.
Non sono in
grado di prevedere come esso sarà accolto. E, ad essere sincero, non me ne
importa neppure. A settantotto anni suonati, mi posso difendere dalle critiche adducendo
la giustificazione della vecchiaia, con connessa... arteriosclerosi.
Battute a parte,
chiarisco subito che non ho ambizioni letterarie: alla mia età non è più
tempo di averne. Considero, però, la poesia il mezzo più spontaneo e immediato
per manifestare le mie emozioni, i miei sentimenti. Per raccontare momenti di
vita vissuta. Per rendere gli altri partecipi dei miei sogni. È quello che ho
inteso fare, confortato dall'alto magistero di Ferdinando Pessoa: "Dalla
più alta finestra della mia casa / Con un fazzoletto bianco dico addio / Ai
miei versi che partono verso l’umanità. / E non sono allegro né triste. /
Questo è il destino dei versi. / Li ho scritti e devo mostrarli a tutti /
Perché non posso fare il contrario". Ecco, io mi sono lasciato
coinvolgere proprio dal messaggio del grande poeta portoghese, oltre che dalle
sollecitazioni di amici fraterni, che ringrazio.
D’altronde, la
poesia - oso dire - non è (o non dovrebbe essere) privilegio di una élite
culturale, perché essa è connaturata all'essere umano. Non è neppure invenzione
di oggi: ha percorso tutta la storia dell’umanità. Ho conosciuto
persone, pressoché analfabete, in grado di esprimersi, in maniera addirittura
coinvolgente, in forma poetica. Se mai, mi chiedo – non senza apprensione –
quale possa essere il futuro della poesia in una società che è sempre più preda
di un progresso tecnologico destinato a condizionare irreversibilmente le
giovani generazioni. Una società che
vede i ragazzi impegnati a sostituire il nostro linguaggio con quello,
non so quanto più efficace, degli sms. Ci ho provato anch’io,
giusto per gioco, e non so con quale risultato.
E' una
preoccupazione, la mia, sul futuro della poesia, che trovo già espressa da Alberto
Bevilacqua: “La collettività contemporanea (ved.: “Difendiamo la sorgente dei sogni”, Corriere
della sera, 13 giugno 2009, pag. 42) sta subendo un processo
riduttivo in cui il sogno, il mito, l’immaginazione vengono pugnalati dalla
concretezza. Col rischio di società assopite, se non addormentate, ma prive di
sogni. A favore del cinismo. Senza poesia, finiremo per non provare più umana
sintonia con gli altri (e con noi stessi), semmai un calcolato esercizio
dell’intelligenza. Abbiamo bisogno della poesia perché ci difende dal troppo
rumore che frastorna e ci consente di ascoltare le suggestive parole con cui
l’uomo dà vita al silenzio dei propri sentimenti”.
D’accordo con
l’editore, ho scelto di non destinare il libro alla vendita, ritenendo che la
poesia non sia "merce" commerciabile. Vorrei, tuttavia, utilizzarlo
per la raccolta di fondi a favore di una associazione che svolge attività
umanitaria. Quanto meno per dargli una
utile funzione sociale.
27.6.2013
Sigismondo
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