giovedì 27 giugno 2013

27 GIUGNO 1946. QUANDO GLI AMALFITANI, RIBELLANDOSI ALLA CHIESA, PORTARONO SANT’ANDREA SULLA SPIAGGIA



Prendendo spunto dai festeggiamenti in onore di sant'Andrea apostolo, che si celebrano oggi ad Amalfi, ripropongo questa pagina di storia locale, legata all'avvenimento, già pubblicata  nel 2007. 

Mons. Ercolano Marini si dimise da arcivescovo di Amalfi nel 1945 e si ritirò a Finalpia, in una casa di riposo per sacerdoti anziani, dove si spense cinque anni dopo. Al suo posto, nella primavera del 1946, la Santa Sede nominò Mons. Luigi Martinelli, che purtroppo morì prima di prendere possesso della nuova sede. Di conseguenza, l’Arcidiocesi di Amalfi fu affidata pro-tempore all’arcivescovo primate di Salerno Mons. Demetrio Moscato in qualità di amministratore apostolico. In occasione dei festeggiamenti patronali in onore di sant’Andrea apostolo, in programma quel 27 di giugno - era giovedì -, egli emanò regole severe per quanto riguardava la processione. 
In particolare vietò l’attraversamento della Marina Grande, dove per antica tradizione si svolgeva un rito propiziatorio con tutte le imbarcazioni radunate davanti alla spiaggia. Il percorso tradizionale della processione era questo: si attraversava in salita lo stradone, fino al tondo Volpe (hotel Riviera). Poi, al ritorno, giunti all’altezza del Gran Caffè, il corteo scendeva sull’arenile dove, in corrispondenza dello stabilimento “Flavio Gioia”, avveniva la cerimonia alla quale ho accennato. Quindi si risaliva dal lato di piazza Flavio Gioia. La sera prima della festa Mons. Moscato aveva ancora una volta convocato le autorità locali, i rappresentanti della marineria, quelli del comitato dei festeggiamenti, per ribadire le sue disposizioni. In piazza Flavio Gioia sarebbe stato allestito un apposito podio e di lì, con la statua presente, dopo l’invocazione a sant’Andrea, sarebbero stati benedetti il mare, il naviglio, i marinai e i pescatori. Accordo fatto? Macché.  Certo, il clima politico-sociale non era dei migliori. Il referendum istituzionale, svoltosi il 2 giugno,  aveva accentuato la contrapposizione tra i sostenitori della repubblica, in particolare gli esponenti e i militanti dei partiti della sinistra,  e il clero, accusato di essersi schierato a favore della monarchia sabauda.
Nel tardo pomeriggio del 27 la processione prese il via dalla cattedrale tra due ali di folla: le congreghe con i loro pittoreschi stendardi, l’azione cattolica, i seminaristi, le suore, i frati, il capitolo metropolitano al completo, insieme con l'arcivescovo, la statua, le autorità con il gonfalone del Comune, la banda, il popolo dei fedeli. Di ritorno dal tondo Volpe, all’altezza del Gran Caffè, la testa del corteo tirò dritto, come s’era deciso. Ma i portatori della statua si volsero verso la spiaggia, seguiti dalle autorità civili e dai fedeli, che tra l'altro non s'erano nemmeno avveduti di quel che stava succedendo. Di fronte alla moltitudine di imbarcazioni radunatesi lì davanti, si procedette a un rito che avrebbe dovuto essere sacro, ma divenne laico e blasfemo. La statua fu sollevata il più possibile e girata da un lato e dall’altro, a mo’ di benedizione. La gente fece quello che aveva sempre fatto: pose dei sassolini sulla pedana  e, dopo che erano stati... “benedetti”, li raccolse per conservarli come “reliquie”.
Arrivato in piazza, in un clima di eccitazione collettiva, accentuata dalle note della banda musicale, sant’Andrea - sospinto da un nugolo di portatori - risalì di corsa la gradinata fino all’atrio, ma trovò la cattedrale chiusa.  La situazione si trasformò subito in esplosiva. La prima cosa che si pensò di fare fu quella di sfondare le antiche porte di bronzo e mettere tutto a ferro e fuoco. Ruggiero Francese, comunista e anticlericale, sostenne che avrebbe potuto indossare lui i paramenti vescovili e portare a termine le funzioni religiose. Ma forse si trattò solo di una battuta, comunque inopportuna. La ribellione stava arrivando a un punto di non ritorno. Iniziò una delicata, paziente opera di mediazione da parte del sindaco Francesco Amodio, costretto a compiere la spola tra i ribelli e i rappresentanti della Chiesa, rifugiatisi in seminario. Un impegno difficile, perché se da un lato i rivoltosi erano esasperati e pronti a tutto, dall'altro Mons. Moscato rimaneva fermo nella sua posizione di condanna sia riguardo alla disubbidienza che alla insubordinazione violenta. Solo a notte inoltrata, raggiunto un compromesso, Sant’Andrea poté riprendere il suo posto sul trono accanto all’altare maggiore. Toccò a don Nicola Milo, ordinato prete da poco più di due settimane, confrontarsi con la folla e aprire le  porte della cattedrale. Nessuno dei suoi confratelli se l'era sentita di assumersi una tale incombenza. Ancora negli ultimi anni della sua lunga vita, don Nicola, divenuto poi, dopo un’esperienza di parroco a Conca dei Marini, prevosto di Maiori col titolo di monsignore,  “raccontava – lo ha scritto  un attento raccoglitore di patrie memorie, Agostino Ferraiuolo, su ‘Comunitando’il suo timore per l’impatto con la massa inferocita, anche perché all’interno del Seminario giungeva l’eco delle sonore proteste che agitavano la piazza. […] A voce sommessa l’anziano Monsignore confidava che, avviandosi solitario verso il sagrato, prudentemente si tolse gli occhiali… ma la sua fede, congiunta all’obbedienza, lo sostenne nell’urto con i portatori, i quali, disarmati dalla sua mansuetudine e dalla giovanissima età, rinunciarono alle mormorazioni e alle vie di fatto”.
L’indomani si scatenarono le ire dell’Amministratore apostolico. In un duro documento (cfr. Rivista Ecclesiastica Amalfitana, anno XXXI, n. 3, maggio-giugno 1946) Mons. Demetrio Moscato parlò di “sovvertitori”, di “malsane correnti avverse alla  Chiesa”, di seminatori di zizzania, di elementi abituati a pescare nel torbido, che avevano spinto il popolo "all'infrazione della disciplina, alla ribellione ed al disprezzo della Autorità ecclesiastica". “In tali contingenze – sostenne – poiché le Autorità di pubblica sicurezza non valsero a mantenere l’ordine, a Noi non restava altro da fare che ritirarci dalla processione; e riteniamo di aver compiuto il Nostro dovere in segno di giusta e aperta riprovazione per quanto era accaduto, e per difendere il prestigio della Autorità, l’onore ed il rispetto per le cose sacre”. Giustificò così la sua decisione di impedire alla processione di andare in spiaggia: “Non potevamo tollerare che il simulacro del gloriosissimo Protettore fosse recato in quella parte del lido ove, quotidianamente, regna una moda scostumata con scandalo di quanti conservano ancora il pudore naturale e cristiano. La proibizione doveva pure significare aperta riprovazione del mal costume e degno omaggio alla sensibilità della maggioranza della popolazione”.
Dopo quell'episodio la processione di Sant'Andrea, il 27 giugno,  ha continuato a svolgersi secondo l'itinerario tradizionale, attraversando l'arenile, e nessuno ha trovato più nulla da obiettare.

© Sigismondo Nastri




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