Da mercoledì 27 marzo riapre al pubblico l’Abbazia di S. Maria de
Olearia, grazie alla collaborazione tra il Comune di Maiori e la Soprintendenza
ai Beni Artistici di Salerno e Avellino. Sia lode al cielo! Questi gli orari
per le visite: il mercoledì dalle 14.30
alle 18.30; il sabato dalle 9.30 alle
13.00; la domenica dalle 9.00 alle
13.00. Sono previste anche aperture straordinarie dalle 9.00 alle 13.00
per il 1° aprile, il 25 aprile e il 1° maggio.
Questo complesso monumentale – trascrivo qui il comunicato
inviatomi da Giovanna Dell’Isola, responsabile dell’ufficio stampa del Comune
di Maiori -, collocato lungo la statale
amalfitana, poco dopo Capo d’Orso per chi viene da Salerno, è tra i più
importanti insediamenti monastici benedettini dell’intero territorio
amalfitano. Notizie della sua fondazione risalgono al primo arcivescovo di
Amalfi, Leone, che ne rivestì la carica dal 987 fino alla morte, avvenuta nel
1029; egli concesse a Pietro, un eremita che viveva in quei luoghi con il
nipote Giovanni, di edificare la chiesa di S. Maria de Olearia, nei pressi del
sito ove avveniva la lavorazione dell’olio. Rara e preziosa testimonianza di
arte e architettura del primo Medioevo nell’intero Ducato di Amalfi, il
monumento è stato reso noto, per la prima volta, nel 1871 dal Salazaro.
Costruito all’ombra di un grande antro roccioso naturale, nel corso del tempo
buona parte di esso è stato trasformato ad uso privato. Per quanto suggestive
siano le sue caratteristiche architettoniche e ambientali, i dipinti che lo
decorano costituiscono il dato di maggiore interesse. Si tratta di tre diversi
cicli pittorici ad affresco, tutti medievali, ma eseguiti in tempi diversi,
dislocati in altrettanti ambienti sovrapposti di destinazione culturale. Nel
primo di questi, comunemente chiamato cripta o catacomba, composto da tre sale
contigue, è presente, in due delle absidi orientali, il primo nucleo di
affreschi, risalenti probabilmente all’insediamento primigenio: vi sono rappresentate figure di santi la cui
cifra stilistica è da ricondurre alla cultura medievale campana tra X e XI
secolo. Sulla parete adiacente si riconoscono invece caratteri
bizantineggianti, trasferiti qui attraverso la pittura eremitica pugliese del
primo trentennio dell’XI secolo.
Sulla terrazza sovrastante, addossata alla
roccia, sorge la chiesa che ospita il secondo importante ciclo di affreschi.
Essi rappresentano scene della vita di Cristo, dall’incarnazione alla passione,
attinte da repertori bizantini, ma di chiara impronta campano-laziale.
Attraverso una piccola scala è possibile accedere alla cappella di S. Nicola,
costruita sopra la chiesa ed interamente affrescata, finanche sulla facciata.
L’abside del piccolo vano è volta a nord e mostra la Vergine con S. Nicola e S.
Paolino, con un chiaro richiamo al ruolo svolto da i due santi nella difesa
dell’ortodossia contro l’eresia. Sulla parete est sono raffigurate scene di
miracoli di S. Nicola e su quella opposta due teorie di santi, in cattivo stato
di conservazione. Sulla volta si staglia un clipeo contenente il Cristo
Pantocratore; sulla facciata, ai lati della mano del signore, figurano due
eleganti angeli svolazzanti. L’articolata ambientazione spaziale delle figure,
rese con consapevole plasticità, ha spinto la moderna critica ad avvicinare
questi dipinti alla pittura medievale romana tra XI e XII secolo, il cui dato
peculiare è costituito dai rimandi alla cultura carolingia e tardo antica.
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