martedì 5 marzo 2013

IL CROLLO ALLA RIVIERA DI CHIARA, L'INCENDIO ALLA CITTA' DELLA SCIENZA: LA LENTA AGONIA DI NAPOLI, CITTA' TRADITA DALLO STATO, DALLE ISTITUZIONI TERRITORIALI, DALLA STESSA SUA GENTE



Mi viene da piangere vedendo scorrere, sullo schermo televisivo, le immagini della Città della scienza che brucia. Quattro  dei sei capannoni ridotti in cenere, nell’area già tormentata dell’ex Italsider a Bagnoli, forse  appetita e appetibile, chissà da chi.  Il museo interattivo, considerato uno dei “gioielli” della città, capace di richiamare 350 mila visitatori ogni anno, distrutto.  “Ancora ignote le cause del rogo – leggo in una nota di cronaca -, ma i magistrati che hanno raggiunto il posto mentre i vigili del fuoco erano impegnati nelle operazioni di spegnimento non hanno escluso la pista dolosa”.  Possibile, probabile. O certa? Presto ne sapremo di più. La remota speranza che coltivo è che si sia trattato di un incidente, magari di un banale  corto circuito (ma l’impianto non era a norma?). Certo che, in due giorni, Napoli ha subito colpi terribili, da k.o.: il crollo di parte di un edificio alla Riviera di Chiaia e poi questo spaventoso rogo.  Bisognerà ringraziare san Gennaro per aver evitato che ci scappasse qualche morto.
Nell'editoriale di stamane, sul Corriere del Mezzogiorno, Alfonso Gambardella, architetto e  cattedratico illustre, riferendosi al primo dei due episodi - l'incendio è avvenuto di notte e i giornali non sono riusciti ad andare oltre la notizia -  scrive: "Triste destino per questa città, tutto quello che appartiene alla sua storia, alla sua immagine culturale viene distrutto dall'incuria di chi gestisce la cosa pubblica... si pensi solo a quanti edifici storici sono in abbandono, che decadono giorno per giorno, che rappresentano un grande segnale di incultura di una classe politica che non ha saputo organizzare il 'Forum della Cultura' perché affidato a politici che con la cultura e la Storia di Napoli non avevano nulla a che fare".
La prima pagina del quotidiano Il Mattino, oggi
Indipendentemente dall’esito delle indagini subito avviate, nessuno può impedirmi di pensare che Napoli sia una città tradita: dallo stato, dalle istituzioni che “governano” il territorio, dalla stessa sua gente. Tradita perché, al di là delle parole, dei discorsi, dei pronunciamenti vari,  non si fa nulla di concreto per riscattarla  sotto l'aspetto culturale, economico-sociale, morale.  E’ una città che se ne cade in pezzi - emblematico il distacco di intonaci e stucchi dalla facciata del teatro San Carlo -, proprio quando la metropolitana "d'artista" la vorrebbe proporre, pomposamente, al centro dell'attenzione: a che serve, se le periferie continuano a essere abbandonate a se stesse, se i ragazzi sono preda della malavita, nella quale intravedono l'unico sbocco "occupazionale", se cresce il degrado dei vecchi quartieri, in pieno centro, e a farla da padroni sono il racket, il traffico della droga, un killeraggio disumano e spietato? Criminalità organizzata, malaffare, delinquenza spicciola proliferano e s'intrecciano. Mi domando: chi può insegnarla la cultura della legalità in una città che si rivela  incapace di "allevare" e di esprimere una classe dirigente "nuova", coraggiosa, pulita, credibile?  Manca persino  la voglia di ribellarsi. Già, ma come? Mandando tutte le persone oneste in strada a fare la rivoluzione? Quando Eduardo De Filippo lanciò il grido: "Fujtevenne!" arricciai il naso. A rifletterci, oggi, devo confessare che aveva ragione.

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