Ricordo che, nell’attendere il proprio turno alla
posta – ma pure in banca, in salumeria, in farmacia, in qualsiasi altro luogo –
spesso si arrivava alle parole grosse o addirittura ci si accapigliava. Perché
c’era, immancabilmente, da dover fare i conti con qualcuno, arrivato dopo, che
cercava furbescamente di guadagnare posizioni. L’avvento delle “macchinette”
che distribuiscono numeri progressivi, collegate ai display, hanno in larga
misura risolto il problema. Anche se qualche furbetto sopravvive.
Elisabeth, una gentile amica, mi ha mandato dal
Belgio la fotografia che pubblico qui. Non so se è stata scattata da lei o l’ha tratta dal web (in questo caso mi scuso con l’autore, pronto a
rimuoverla se me lo chiede). Il titolo
è: “Méthode antillaise pour faire la queue a la poste” (Modo di fare la coda
alla posta nelle Antille). Sono affascinato da questa immagine, sicuramente
straordinaria, ma soprattutto trovo che il metodo che essa propone è di sicura
efficacia. Da brevettare, se qualcuno non lo ha già fatto.
In fila non ci sono le persone, ma scarpe, sandali,
ciabatte. Le persone aspettano comodamente sedute. Serene, per nulla stressate.
Potrebbe sorgere qualche inconveniente solo in presenza di calzature dello stesso
tipo, dello stesso colore, della stessa misura. Alquanto improbabile.
Mi torna alla mente la scena del film Totò le Moko
in cui il grande comico napoletano, rivolto a un altro signore (l’attore
Armando Migliari), gli chiede:
- Scusi, è occupato quel posto?
- Quale?
- Questo.
- E non vede che ci sono seduto io?
- E va be’, ma non c’è il cappello! Per occupare un
posto, bisogna metterci il cappello sopra. Quando uno vede il cappello, dice:
“Oh, perbacco, quel posto è occupato: c’è un cappello. Ma, se non c’è, il posto
è libero. Egregio signore, i regolamenti bisogna saperli!
Conclusione: il poveretto è costretto ad alzarsi.
In questo caso, le scarpe sostituirebbero il copricapo.
Stamattina sono stato in un ufficio postale, neppure
in pieno centro. Affollato, come al solito.
Da non credere. Ho preso il numero: tra 150 e 160. Considerato che si era a metà mattinata, presumo che
davanti a me stessero aspettando perlomeno sessanta persone. Presto mi son
dovuto convincere che, qui, nemmeno il metodo antilliano potrebbe
funzionare. Ve le immaginate cento o centoventi scarpe messe in fila per due? Richiederebbero
uno spazio che all’interno degli uffici postali non c’è. La coda dovrebbe allungarsi
fino al marciapiede o alla strada, col rischio che, a operazione compiuta, qualcuno sia costretto a
tornarsene scalzo a casa. In tempo di recessione, un paio di scarpe – specie se in buono stato – fa sempre comodo.
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