Pasqua ha rappresentato sempre un grande appuntamento conviviale. Tanto più che
s’usava benedire la mensa. Avviene ancora in molte case. Ci si reca in chiesa,
la mattina, a prelevare l’acqua santa. E con questa, intingendovi un rametto d’ulivo, dopo un
momento di preghiera, il capo famiglia, all’inizio del pranzo, asperge la
tavola imbandita e gli stessi commensali. Lo faceva mio padre, cerco di tener
viva questa tradizione.
Per la scampagnata
– che ora si chiama picnic - c’è la Pasquetta (’o pascone), il giorno dopo, che è quasi
una riconquista della libertà. Ci si portava dietro, ai miei tempi, una
grossa fetta di gattò di patate, farcito con salame, formaggio, mozzarella, o
una frittata di maccheroni.
Con una esplosione di profumi e sapori,
Pasqua segna la conclusione della quaresima, iniziata all’indomani dell’ultimo
martedì grasso: un periodo di preparazione durato quaranta giorni
(quarantaquattro, con le domeniche) caratterizzato da penitenza e digiuno, che
cessa con la resurrezione di Gesù. E siccome coincide col periodo in cui
si ammazzano i maiali, ecco che nel menu la carne suina la fa da padrona. Sotto
forma di fellata (sopressate e capicolli), che si abbina
al casatiello (tortano di pane con
sugna e cicoli, decorato con uova intere, cotte anch’esse in forno), alla
ricotta salata ’e Montella (si fa per
dire, ora la producono in Sardegna) da gustare insieme alle fave fresche,
primizia di stagione (non so se ce ne saranno, dato che la Pasqua, quest'anno,
è arrivata abbastanza presto). Poi c’è la menesta
maretata, che a Napoli, in epoca borbonica, chiamavano anche menesta cu
no palmo 'e grasso: un trionfo di verdure, calate in un brodo nel quale si
son messe a cuocere parti meno nobili del maiale, ma dal sapore intenso:
insaccati - pezzente, annoglie -, cartilagini e ossi tenuti in salamoia.
Questo, senza rinunciare
al primo piatto – maccheroni al forno o
conditi con ragù di carne (col ragà si sposano a meraviglia i ricci
furetani) – e al capretto (in costiera preferito all’agnello) contornato da
patatine novelle.
Dulcis in fundo, i
dolci: il casatiello dolce, sormontato dalla pecorella di zucchero o
marzapane, e soprattutto la pastiera,
dal profumo inebriante di cedro e fiori d’arancio. Rigorosamente di fattura
domestica, con quel tocco personale che la distingue dalle altre.
Una grande abbuffata? No, semplicemente il trionfo del gusto e dello stare insieme perché – recita un antico detto, e vale specialmente per i giorni di festa – “chi magna sulo s’affoca”.
Una grande abbuffata? No, semplicemente il trionfo del gusto e dello stare insieme perché – recita un antico detto, e vale specialmente per i giorni di festa – “chi magna sulo s’affoca”.
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