Il 25 ottobre di quest’anno ricorrerà il decimo anniversario
della morte di Mario Vitale (Salerno 25.3.1928 – 25.10.2003). Troppo presto per parlarne? Credo proprio di no. Anzi, segnalo già la data a qualcuno affinché pensi a come ravvivarne la memoria. Dipendesse da me, organizzerei un
convegno per “rivisitare” la carriera
dell'attore in chiave storico-critica, affiancato da una rassegna dei film da lui
interpretati.
Conobbi Mario Vitale a Maiori, in occasione di un’edizione
del Premio Rossellini. Avanti negli anni, tornato nell’ombra, custodiva nitido il
ricordo di quel che era stato: un personaggio del mondo della celluloide, che
aveva lavorato a contatto di gomiti, anzi di guancia, con una grande star,
Ingrid Bergman. Portava con sé, sempre (credo che non lo lasciasse neppure
quando andava a dormire), un album con le foto di scena delle pellicole alle
quali aveva preso parte: Stromboli, terra di Dio, innanzitutto, il film di
Roberto Rossellini, del 1950, girato sull’isola vulcanica. E poi, Domenica d’agosto
di Luciano Emmer, dello stesso anno; Destino, di Enzo Di Gianni e Domenico
Gambino, e Serenata tragica – Guapparia, di Giuseppe Guarino, del 1951; La
peccatrice dell’isola, di Sergio Corbucci, del 1952; Il prezzo dell’onore, di Ferdinando Baldi, e
Perdonami!, di Mario Costa, del 1953; Il barcaiolo di Amalfi, di Mino Roli, del
1954.
Una carriera, insomma, iniziata fulmineamente, e in un ruolo
da protagonista, esauritasi poi nell’arco di quattro o cinque anni.
Vitale era approdato sul set senza volerlo. Senza nemmeno
rendersene conto. Per caso. Rossellini,
che amava scegliere gli attori dalla strada, era alla ricerca del cast per Stromboli. In quel periodo trascorreva gran parte delle sue giornate in costiera. Vi aveva girato nel 1946 alcune scene
di Paisà, trasformando in attori
gli stessi frati del convento s. Francesco di Maiori e il piccolo
Alfonsino Bovino. Sempre in Costiera, tra Capo d’Orso e Furore, aveva
realizzato un episodio de L'amore (Il miracolo) con Anna Magnani e Federico
Fellini.
Questo filone continuò nel 1952, con La macchina ammazzacattivi che vide largo reclutamento
di persone del posto. Nel 1953, per la scena finale di Viaggio in Italia, con
la Bergman e George Sander, Rossellini inserì l'abbraccio tra i due protagonisti nel contesto affollato e festoso del corso Reginna. Doveva essere, nelle sue intenzioni, quello del 15 agosto, quando si celebra il patrocinio di santa Maria a
Mare. Non avendo potuto cogliere quel momento - chiese addirittura di far replicare la processione, ma non gli fu concesso (per l'opposizione del reverendo don Clemente Confalone, autorevole e ascoltato esponente del clero locale, e delle tre donne addette alla "vestizione" della statua della Madonna, come mi racconta Alfonso Sarno, "memoria" storica di Maiori) ,- optò per la processione dell'Addolorata, a metà settembre. Facendo, però, ripristinare le caratteristiche e spettacolari luminarie.
Una scena di Stromboli, terra di Dio |
Nel 1949, dicevo, il padre del neorealismo stava reclutando attori per Stromboli, terra di Dio. In particolare, gli occorreva coprire il ruolo del protagonista
maschile. Avrebbe dovuto avere le
sembianze del pescatore, con un fisico atletico e il viso
accattivante. Mario Vitale lavorava
allora a bordo di un peschereccio.
Ecco come mi raccontò la sua avventura: “Stavo rientrando da una battuta
di pesca, stanco e affamato, dopo aver trascorso tre giorni in mare senza prendere niente. Sbarcato
dal peschereccio, mi avviavo verso casa, quando un amico mi disse che
all’hotel Jolly c’erano dei signori che cercavano un giovane da impiegare in un
film. Tanto disse e tanto fece che mi convinse ad andarci”. Vitale aveva un bell’aspetto, caratterizzato dai tratti virili e dallo sguardo
penetrante. I selezionatori, Giampaolo
Callegari e Sergio Amidei, stretti collaboratori di Rossellini, appena lo
videro, non ebbero dubbi: sarebbe stato
lui il partner della Bergman. Le
riprese, sull’isola, durarono cinque mesi.
A Maiori fui testimone di un incontro molto affettuoso con
Isabella Rossellini, all'insegna dell'amarcord. Nel rivivere le emozioni di allora, Mario Vitale
descriveva ancora con emozione la scena del film in cui egli dovette assumere un
atteggiamento molto violento nei confronti della Bergman. Il regista la voleva quanto
più vera possibile. Rigoroso com'era, la fece ripetere tredici volte. Lui, Mario, non si sentiva
di infierire. Ma dovette farlo, sulla spinta di continui richiami.
Anche quello era neorealismo.
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