“Non rimandare a domani quello che potresti fare oggi”, se non
sbaglio, è un aforisma, sempre valido, di Benjamin Franklin. Quando ero studente, alquanto svogliato, mi
piaceva capovolgerlo: “Non fare oggi
quello che puoi rimandare a domani”. Certo, non è un bel modo di affrontare i
problemi, le situazioni che si presentano quotidianamente. Tuttavia Arnobio (commento al salmo XXXVI) insegna: “Quod differtur non aufertur” (Quel che
si rimanda non è perduto). Già, ma come la mettiamo con l’ammonimento di Seneca (Lettere a Lucilio): “Dum differtur, vita transcurrit” (Mentre rimandiamo, la vita
passa)? Un concetto ripreso da Lorenzo
il Magnifico (Rime): “Chi tempo aspetta, assai tempo si strugge:
/ e ‘l tempo non aspetta, che via fugge”. Di contro, Thomas Jefferson (Lettera a George Washington)
insegna: “Rimandare è meglio che
sbagliare”.
Matteo
Mario Boiardo (Orlando Innamorato) scrive: “Perché
qualunque ha tempo, e tempo aspetta, / spesso se trova vuota aver la mano, /
come al presente a lui venne incontrare, / che perse un gran piacer per
aspettare”.
Mi capita, soprattutto quando sto
con le dita sulla tastiera del pc, di far mia la filosofia di Libero Bovio (Està) : “Che bella canzone / tenevo p' 'e mmane... / mo veco, dimane, / si 'a
pòzzo ferní...”. Mi alzo dalla
sedia, lascio perdere quello che stavo facendo, nella speranza di recuperare
voglia e ispirazione l’indomani. Poi tutto va in malora.
Vengo a sapere ora che “si può essere produttivi anche rimandando,
a patto di farlo in modo ‘strutturato’: facendo altro”. Lo leggo in un
articolo di Paolo Di Stefano,
pubblicato ieri dal Corriere della sera,
relativo a un saggio del filosofo Stanford
John Perry: “The Art of
Procrastination” (L’arte del procrastinare), che capovolge l’aforisma
di Benjamin Franklin, proprio come
facevo io da studente. Una teoria così
sintetizzata da Di Stefano: “Se stilate
(in tutta calma) una lista degli impegni dal più urgente ai meno importanti, il
consiglio è quello di concentrarvi sui secondi, in modo da non dare a voi
stessi e agli altri l’impressione fastridiosa (o angosciante) di essere
inattivi. Solo così il senso di colpa verrà sconfitto e l’immagine pubblica
resterà intatta. Insomma, non fare oggi ciò che puoi fare fare domani, meglio
ancora dopodomani, ma a un patto: mentre il procrastinatore comune tenderebbe a
non fare nulla, il temporeggiatore di Perry deve dedicarsi ad altro pur di
evitare di fare ciò che dovrebbe assolutamente fare. Solo cercando di sfuggire
alla priorità si finisce per sbrigare la gran parte del lavoro per affrontare
poi trionfalmente e a cuor leggero l’impegno più urgente”.
Mi tornano alla mente i versi di Libero Bovio: “Che bella figliola / ca passa p' 'o vico... / Mo 'a chiammo e lle
dico: / "Volete salí!?" / No, no,... cu stu sole, / stu sole cucente,
/ nun voglio fá niente... / Nun voglio
fá niente!”. Passi per situazioni d'altro tipo. In questo caso, che ci sia il sole o piova a dirotto, che
faccia caldo o freddo, l'atteggiamento del poeta napoletano non è condivisibile. Macché
procrastinare!
Caro professore, purtroppo io sono un fautore dell'arte del procrastinare e d'accordo con riserva, con Libero Bovio nel rimandare il da farsi emerso dal contesto di quei versi; l'unica pecca? E che poi il lavoro verrà rimandato alle calende greche e quindi mi sento di dare ragione a Jefferson: meglio rimandare che sbagliare! D'accordissimo!
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