Tra i personaggi meritevoli di ricordo, in questa "Giornata della memoria", non può mancare il nostro caro, indimenticabile don Clemente Confalone. Ripropongo l'articolo già pubblicato su "Cronache del Mezzogiorno" il 23 luglio 1996 e poi anche sul blog.
Nell’ottobre del
1943 Roma era in preda al caos. Vi dominava la paura. L’armistizio dell’8
settembre aveva determinato una situazione paradossale, trasformando in alleati
i nemici di ieri, e viceversa, e segnando l’inizio di un conflitto tra italiani
di opposte fazioni. L’ingegnere Pietro Lestini era
vicepresidente dell’Associazione cattolica di San Gioacchino, nel quartiere
Prati. Come ricorda la
figlia Giuliana in un libro (S.A.S.G., edizioni Il
Ventaglio), egli era impegnato nella lotta contro gli oppressori nazisti, ma
soprattutto “nella testimonianza di solidarietà e altruismo di tutti i
perseguitati a causa della razza, della religione, dell’idea politica e
dell’amore per una patria libera e democratica”. Con l’appoggio del parroco,
padre Antonio Dressino, l’ingegnere Lestini aveva allestito un
servizio di accoglienza per militari allo sbando, ebrei e perseguitati politici.
Tra i primi accorsi ci fu il tenente di fanteria Clemente
Confalone, “un uomo alto e magro, quasi ieratico, avvalorava questo suo aspetto la spiccata tendenza alla religiosità”.
Profondamente buono, educato ai
principi della fede e della fratellanza universale, egli s’era rifiutato di
obbedire all’ordine di partire per Trieste. Aveva scelto la strada della
diserzione, trovando riparo nella chiesa di san Gioacchino, àncora di salvezza
per quanti volevano sfuggire alle retate nazifasciste. In questo contesto, un
tipo come lui, che preferiva impugnare la corona del Rosario anziché la pistola,
divenne ben presto bersaglio di lazzi e frizzi da parte degli altri rifugiati.
“Pur tuttavia – rileva Giuliana Lestini – essendo d’animo mite
riusciva a sopportare e in fondo a prestarsi fino al momento in cui di cattivo
umore rispondeva con veemenza ed acredine. Era però riuscito a imporre la recita
del Rosario e spesso li puniva coi suoi sermoni sulla bontà divina e la
malvagità umana”.
Il rifugio
ideato dall’ingegnere Lestini era “un locale esistente tra la volta e il tetto
della chiesa stessa a ridosso della cupola, un locale quasi aereo tra le
capriate del soffitto”. Fu quella che venne chiamata “Sezione aerea di san
Gioacchino” (di qui la sigla
S.A.S.G.), che, sotto il vincolo del giuramento e della
segretezza delle azioni, si prefiggeva di occultare quanti fossero perseguitati
e di compiere atti di sabotaggio contro i nemici nazifascisti. Si trattò di ore,
giorni, mesi trascorsi in una situazione di precarietà assoluta. Murati
addirittura, per motivi di sicurezza.
Il tenente Clemente
Confalone, appartenente a una delle famiglie più in vista di Maiori, aveva
trentacinque anni, essendo nato il 10 marzo 1908 (fra pochi mesi, quindi, ricorrerà
il centenario; segnalo questa data ai Parroci e all’amministrazione comunale di
Maiori perché si possa organizzare una cerimonia pubblica per
ricordarlo). Con una laurea in giurisprudenza, conseguita
brillantemente, era avviato a una carriera di avvocato o di magistrato, nel
solco di una consolidata tradizione familiare. La terribile esperienza vissuta
fece maturare in lui un’altra decisione: quella di diventare prete. Rientrato
finalmente a casa, abbandonò i codici ed entrò in seminario. Furono sufficienti
due anni di studio per l’ordinazione sacerdotale. Resta memorabile, in quanti lo
hanno conosciuto, la sua profonda devozione alla Madonna, venerata come
protettrice dai maioresi nella storica
Collegiata e festeggiata il 15 agosto col nome di S. Maria a
Mare.
Don Clemente, che ha
trascorso la vecchiaia – seduto in carrozzella, per le precarie condizioni
fisiche – presso le Suore Domenicane di Maiori, amorevolmente assistito, ha
chiuso gli occhi il 16 giugno del 1994, all’età di ottantasei anni. Di quella
“soffitta” non aveva mai parlato con nessuno. Ma la sera del 9 marzo 1984,
quando ricevette la visita di padre Ezio Marcelli, nuovo
parroco di san Gioacchino, si lasciò travolgere dall’emozione e dai ricordi: “Il
mangiare – riferì – saliva per mezzo di una carrucola. A far funzionare il
congegno ci pensava l’ingegnere Lestini, con l’ausilio del sacrestano
Domenico Pizzato, che si occupava anche di svuotare i secchioni
utilizzati come gabinetto. Il cibo era fornito dalle Suore della Carità che,
malgrado la carestia, non fecero mancare nulla del necessario”. Poi il racconto
divenne più intenso: “Si passavano le ore discutendo del più e del meno, della
vita passata, delle speranze per il futuro, del desiderio di uscire da quel
luogo. A volta ci recapitavano i giornali. Lestini li faceva passare attraverso
un foro nel soffitto all’interno della chiesa. Ci industriammo per portare la
luce elettrica in modo da illuminare il nostro rifugio; e tanto facemmo che
entrammo in possesso perfino di una radio per essere al corrente di ciò che
avveniva fuori. La sera si recitava il Rosario, e vi prendevano parte anche gli
ebrei”. Uno di questi, vedendolo “troppo devoto”, una volta, un po’ per burla e
un po’ seriamente, gli aveva detto: “Quando ti farai prete diventerò cristiano”.
Don Clemente non ha mai saputo se mantenne la promessa.
©
Sigismondo
Nastri
Gentile Sigismondo Nastri,
RispondiEliminami permetto di segnalarle un link, dove è possibile scaricare il numero del Bollettino: "Voce del Santurio dei Santi Cosma e Damiano di Ravello", del settembre 1972, che presenta cronache e foto delle nozze d'argento sacerdotali di Don Clemente Confalone e di Don Pantaleone Amato, già rettore del Santuario dal 1947 al 2005.
Cordialità.
Salvatore Amato
a integrazione del commento, il link è il seguente:
RispondiEliminahttp://www.sancosmaravello.it/vocedelsantuario/Settembre%201972.pdf
Salvatore Amato
Prendo nota della segnalazione, utilissima e quanto mai opportuna. Grazie!
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