lunedì 22 ottobre 2012

IL CATALOGO DI SALERNO APRE LA XLV STAGIONE ESPOSITIVA CON UNA MOSTRA DI CARLO MATTIOLI




Sabato 27 ottobre la galleria Il Catalogo di Salerno, luogo d'incontro e di scambi culturali ormai entrato a pieno titolo nella memoria storica della città (basti ricordare che ebbe, tra i più assidui frequentatori, il poeta Alfonso Gatto), apre la sua quarantacinquesima stagione espositiva con una mostra di opere scelte di Carlo Mattioli (1911-1994), in collaborazione con l'archivio omonimo di Parma. Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, bisogna riconoscerlo, non sbagliano mai un colpo.  
Carlo Mattioli, Paesaggio verde
Carlo Mattioli, modenese di nascita ma parmense d’adozione, si propose alla ribalta artistica intorno agli anni quaranta, quando la città emiliana - ricordata da Attilio Bertolucci come una “cella meglio aerata e ben esposta” rispetto a tanti altri centri d’Italia – stava vivendo una stagione straordinaria: “Per un gioco di destini incrociati – scrive Gianni Cavazzinioperano a Parma poeti quali Mario Luzi, studiosi come Oreste Macrì, critici quali Giacinto Spagnoletti”. L'artista s’inserì in un contesto - peraltro simile a quello della galleria salernitana - caratterizzato da sottili istigazioni culturali:  serate al caffè, incontri con i personaggi in transito - Ungaretti, Montale, Parronchi, Bigongiari -, tale da forgiarne il segno, "frutto di una forza interiore alimentata giorno dopo giorno nella riflessione e nella 'simpatia' sofferente per uomini e cose". Il riferimento da subito a certi certi paesaggi - li si potrà ammirare al Catalogo -, "ridotti alle strutture elementari, ma percorsi da un respiro infinito, in cui l’assenza, come specchio della morte, è metafora antichissima che l'artista sa rinnovare con una pulizia di tocco e una essenzialità d’immagine raramente conseguita". Leggo tutto questo nel comunicato stampa trasmessomi da Olga Chiefi, che aggiunge: «Una pittura di sublimazione la sua, mai dimentica della suggestione di certi addensamenti sensuosi di materia, quei coaguli di colore che lasciano intendere, dentro, tutto un subbuglio di generazioni, accensioni, inquietudini, e perfino ironie, sino ad una pressante percezione del tempo. Con una dizione ferma, e sempre come se d'ogni cosa trovasse indispensabile far sentire al tatto la consistenza del soggetto, il pittore si ritrova a scarnificare sempre piu' quegli spessori 'romantici', riducendo quasi a sinopia i segni figurali, staccando, man mano, gli oggetti dal loro luogo, esaltandone la solitudine, leopardianamente. Perfino a volte facendo appello a una sorta di ragione geometrica, come se in una accentuata partizione degli spazi si potesse trattenere più a lungo, e con maggiore incidenza espressiva, l’emozione. Nell’esposizione si passerà anche per il suo periodo informale, impresso di forme allucinate, con uno struggimento di toni da esilio, grigi, bruni, ocra, con variazioni sottilissime, pudiche, di tutti i verdi possibili (Paesaggio Verde), frutto di una gestualità mai nervosa, destinata piuttosto a confermare un senso implicito, inafferrabile, dei movimenti interni alla natura. Imprevedibili improvvisazioni sul tema, la lucida teoria delle forme sottratte al contingente, in virtù di una loro sofferta conquista dell’essenza delle cose, della loro dimensione ontologica. Il reale è come evocato, non rimosso ma sospeso, e in questa elegia del silenzio più alta si leva la voce dell’Uomo.»
L'esposizione rimarrà aperta fino al 24 novembre.






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