Sabato 27 ottobre la galleria Il Catalogo di Salerno, luogo d'incontro e di scambi
culturali ormai entrato a pieno titolo nella memoria storica della città (basti ricordare che ebbe, tra i più assidui frequentatori,
il poeta Alfonso Gatto), apre la sua quarantacinquesima stagione espositiva con
una mostra di opere scelte di Carlo
Mattioli (1911-1994), in collaborazione con l'archivio omonimo di Parma. Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, bisogna riconoscerlo, non sbagliano mai un colpo.
Carlo Mattioli, Paesaggio verde |
Carlo Mattioli, modenese di nascita ma parmense
d’adozione, si propose alla ribalta artistica intorno agli anni quaranta,
quando la città emiliana - ricordata da Attilio
Bertolucci come una “cella meglio
aerata e ben esposta” rispetto a tanti altri centri d’Italia – stava
vivendo una stagione straordinaria: “Per
un gioco di destini incrociati – scrive Gianni Cavazzini – operano a
Parma poeti quali Mario Luzi, studiosi come Oreste Macrì, critici quali
Giacinto Spagnoletti”. L'artista s’inserì in un contesto - peraltro simile a quello della galleria salernitana - caratterizzato da
sottili istigazioni culturali: serate al caffè, incontri
con i personaggi in transito - Ungaretti, Montale, Parronchi, Bigongiari -, tale da forgiarne il segno, "frutto di una forza interiore alimentata giorno dopo
giorno nella riflessione e nella 'simpatia' sofferente per uomini e cose". Il riferimento da subito a certi certi paesaggi - li si potrà ammirare al Catalogo -, "ridotti
alle strutture elementari, ma percorsi da un respiro infinito, in cui l’assenza,
come specchio della morte, è metafora antichissima che l'artista sa rinnovare
con una pulizia di tocco e una essenzialità d’immagine raramente conseguita". Leggo tutto questo nel comunicato stampa trasmessomi da Olga Chiefi, che aggiunge: «Una
pittura di sublimazione la sua, mai dimentica della suggestione di certi
addensamenti sensuosi di materia, quei coaguli di colore che lasciano
intendere, dentro, tutto un subbuglio di generazioni, accensioni, inquietudini,
e perfino ironie, sino ad una pressante percezione del tempo. Con una dizione
ferma, e sempre come se d'ogni cosa trovasse indispensabile far sentire al
tatto la consistenza del soggetto, il pittore si ritrova a scarnificare sempre
piu' quegli spessori 'romantici', riducendo quasi a sinopia i segni figurali,
staccando, man mano, gli oggetti dal loro luogo, esaltandone la solitudine,
leopardianamente. Perfino a volte facendo appello a una sorta di ragione
geometrica, come se in una accentuata partizione degli spazi si potesse
trattenere più a lungo, e con maggiore incidenza espressiva, l’emozione.
Nell’esposizione si passerà anche per il suo periodo informale, impresso di
forme allucinate, con uno struggimento di toni da esilio, grigi, bruni, ocra,
con variazioni sottilissime, pudiche, di tutti i verdi possibili (Paesaggio
Verde), frutto di una gestualità mai nervosa, destinata piuttosto a confermare
un senso implicito, inafferrabile, dei movimenti interni alla natura.
Imprevedibili improvvisazioni sul tema, la lucida teoria delle forme sottratte
al contingente, in virtù di una loro sofferta conquista dell’essenza delle
cose, della loro dimensione ontologica. Il reale è come evocato, non rimosso ma
sospeso, e in questa elegia del silenzio più alta si leva la voce dell’Uomo.»
L'esposizione rimarrà aperta fino al 24 novembre.
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