Ho tra le mani il libro “Cementerio de Presidentes” di
Eduardo Manzur, che egli mi ha regalato il 18 settembre scorso a Maiori, dove
ha trascorso una lunga vacanza, con la sua gentile consorte, ospiti della
figlia Lorena, ginecologa, fondatrice dell'associazione P-Arteras, che vive stabilmente nella cittadina della costa, stimata e
apprezzata per la sua attività. Peccato che io non conosca lo spagnolo e non
sia, perciò, in grado di leggerlo, perché – a quanto che ne so – la vicenda
raccontata dev’essere molto stimolante. Originale e insolita, oltretutto.
Cerco di tradurre a modo mio la nota che è sul retro della
copertina. “Cementerio de Presidentes” è un romanzo ambientato in un cimitero
metropolitano. I personaggi sono tutti presidenti, presumo capi di stato (33,
se ho letto bene), ovviamente trapassati, che affrontano nelle loro discussioni
temi di grande attualità: “argomenti profondi
che si sviluppano tra poesia e bellezza metaforica,
tali da indurre il lettore a sviluppare riflessioni filosofiche e morali”.
Manzur ha 65 anni, essendo nato a Santiago del Estero, in
Argentina, il 28 agosto 1947. Barba e capelli lunghi, sguardo penetrante, lo si potrebbe scambiare facilmente per un vecchio santone. Ma è scrittore, giornalista, poeta, con all'attivo due raccolte
di liriche (“Lagrimas de rocìo”, 1971, e ”Imagenes”, 1972), un saggio (“La
Tercera Argentina”, 2004), un’opera teatrale (“Las Mentiras de un Beso”, 1970).
Numerosi suoi testi sono usciti su giornali e riviste culturali. Ha ricevuto riconoscimenti
e premi a livello nazionale e internazionale.
Spero proprio che “Cementerio de Presidentes” trovi
presto un editore disposto a pubblicarlo, tradotto, anche in Italia. Sarebbe un
modo per far conoscere un affermato autore sudamericano, maestro nel fare uso
di allegorie e simboli “per ‘disegnare’ il dolore prodotto dalla corruzione e dall'arroganza
degli uomini di potere”.
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