Grazie al cielo, e nonostante la calura che scioglie finanche il cervello, a Maiori c'è chi s'è ricordato che quest'anno ricorre il ventesimo anniversario della morte di Ulderico Forcellini. Che era un personaggio capace di identificarsi con la città, per come la conosceva, la sapeva raccontare e, soprattutto, illustrare nei suoi dipinti carichi di luce, di colori, di sentimento. La stessa festa patronale del 15 agosto, da quando non c'è più lui, in quella bottega-studio al corso Reginna, che attraeva come una calamita, non mi sembra più la stessa. Anche quello era un luogo-simbolo di Maiori.
Pensavo, fino a ieri, che tutti si fossero dimenticati di Forcellini. Da quando non c'è più, credo di essere stato l'unico a scrivere di lui. Leggo (e ieri me ne ha dato conferma il figlio) che lunedì, 13 agosto, nelle sale di palazzo Mezzacapo, gli sarà dedicata una mostra retrospettiva (aperta fino al 26 agosto). Spero che sia in grado di illustrarne in modo organico, e compiuto, il percorso artistico, per una rivisitazione anche critica. Mettere soltanto dei quadri uno accanto all'altro, alla rinfusa, servirebbe poco.
Come scrivevo cinque anni fa, Ulderico Forcellini "me lo
immagino ancora lì, nella sua bottega-studio, al corso Reginna, dove
ogni anno [in periodo estivo] allestiva una personale che attirava appassionati
d’arte, collezionisti, ammiratori, semplici curiosi. Credo che in moltissime
abitazioni, non solo in Italia ma nel mondo intero, ci siano alle pareti quei
suoi quadretti raffiguranti scorci di paesaggio - il castello, la marina, la
torre Normanna -, oppure vicoli, cortili, scalinatelle, gli angoli più
intimi e pittoreschi della vecchia Maiori."
C’era un particolare che mi faceva
voler bene a Ulderico: la somiglianza (vera o presunta, molti ne erano
convinti) con mio padre. Lo stesso naso, la stessa fronte spaziosa, lo sguardo
forse no, la stessa massa di capelli bianchi. Parecchia gente scambiava
l’uno con l’altro. Così quando si incontravano, Forcellini restituiva a
mio padre i saluti ricevuti impropriamente e mio padre faceva altrettanto. Poi
entrambi scoppiavano in una grande risata. Ecco come Ulderico veniva
descritto nel luglio del 1979: “Folta e gonfia capigliatura bianchissima, un
viso cotto dal sole, due piccoli occhi penetranti dietro le lenti con le
stanghette dorate che sembrano scrutarti nell’animo, una figura agile ancora,
un gesticolare rapido, scattante, nervoso ed una parola pronta, ironica,
mordace”. Era proprio così.
“Uomo eclettico – leggo ancora sul Mattino del
14 agosto 1987 -, si è interessato alle più disparate attività: ha fatto il
farmacista, ha studiato giurisprudenza, si è esibito tenore lirico in un teatro
di Londra, è stato sindaco di Maiori, ha insegnato inglese negli istituti
superiori, ha svolto, con competenza, il ruolo di capo divisione in un
Ministero".
Ulderico, nato a Cetara il
26 settembre 1906, s’era presto trasferito con i genitori a Maiori, dove il
padre gestiva una farmacia, rilevata poi dal fratello Fortunato. Gli capitava
così di trovarsi spesso dietro al banco dei medicinali (a volte andava a dare
una mano al suo amico Edoardo
Ala alla farmacia del Cervo, nella piazza del duomo di Amalfi), e lo faceva con
competenza, nonostante che egli farmacista non fosse. Dopo il conseguimento della
maturità classica, infatti, deludendo le aspettative del padre, s’era iscritto
a giurisprudenza, senza però portare a termine gli studi universitari. Fin da
ragazzo aveva manifestato spiccate attitudini per il disegno e per la
pittura. Andò quindi a formarsi professionalmente nell’atelier di Luca Albino, uno degli
ultimi “pittori di Maiori”, quelli che comunemente vengono definiti
“costaioli”. “Tu sei nato per fare il pittore”, gli disse l’anziano maestro
dopo aver osservato alcuni suoi lavori. Allievi di Albino, in quel tempo, erano
anche Vittorio Acabbo
e Guido De Martino.
Uomo eclettico, Forcellini, è
vero, con un’anima da bohémien, che lo portò a emigrare a Londra, dove rimase
fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale. In Italia, finita la guerra,
iniziò una breve ma intensa carriera al ministero degli Esteri, interrotta per
far ritorno a Maiori. Aveva una bella voce, mi riferisce la moglie, signora
Anna, e non gli sarebbe stato difficile dedicarsi al canto. Invece si tuffò
nella politica locale: fu vice sindaco, con Salvatore Confalone (capo
dell’amministrazione ai tempi dell’alluvione del 1954), e poi sindaco, tra il
1957 e il 1958. Generoso, disinteressato, dinamico e tenace. Fondò, a Maiori,
la sezione dell'Associazione nazionale marinai d'Italia.
Senza mai abbandonare la
pittura, nel solco tracciato dal suo maestro, Luca Albino, il pittore della
luce o, meglio, di quelle “bombe di colore” rovesciate sulla tela, tali da
suscitare forti emozioni. Ma con una personalità ben definita e uno stile tutto
suo. Condivido quanto scriveva nel 1978 Andrea
Carrano: “Forcellini penetra nella materia, la plasma, la
scompone in tonalità essenziali, la costruisce nella densa irradiazione di
luce. Albino gli ha trasmesso il brivido di luce improvvisa… basta guardare
tutta la sua produzione per calarsi nel gaudio di una natura virente,
struggente nella ricerca del vero più nascosto e segreto. La sua arte non
indulge mai al tema preferito o comune: Forcellini conosce il segreto del mare
e la calda ora del meriggio estivo; ma sa cogliere il mistero che alita, nel
silenzio assorto, della favola boschereccia, nell’agreste ilarità dei pollai e
nella fuga potente dei contrafforti”.
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