venerdì 27 luglio 2012

"ROSA ROSAE", LA MOSTRA DI PAOLO SIGNORINO A RAVELLO. L'INAUGURAZIONE, DOMANI SERA


“Rosa Rosae”… mi riporta al primo impatto con la lingua latina, al tempo della preadolescenza. In questo caso, è il titolo della mostra di Paolo Signorino, che si apre a Ravello domani sera, sabato 28 luglio, alle ore 20.00, negli spazi di Archivio Ravello Arte Contemporanea, con la direzione artistica di Bruno Mansi. Le rose, dunque, protagoniste della  pittura, in tutte le loro varietà e nelle molteplici sfumature dei loro colori, Mi dispiace di non poter essere presente all’inaugurazione. Ringrazio l’amico Paolo per l’invito, rinnovato anche per telefono. Mi riservo di visitare, in altro momento, l’esposizione, che rimarrà aperta al pubblico fino all’inizio di settembre.
Signorino, da sempre, ha privilegiato il rapporto con la natura: dalle piante officinali ai fiori di campo, alle rose. A testimonianza di una sensibilità delicata, raffinata, che è il tratto che maggiormente lo caratterizza. Ma perché questa predilezione per le rose? Perché le rose che da secoli abitano la letteratura di corte e le feste popolari,  i tacuina sanitatis come pure le facili canzonette di cui Proust – l’amatissimo Proust - ha tessuto, con perfetto snobismo, le lodi – osserva Stefania Zuliani -, hanno la bellezza precaria e insuperabile dell’ibrido, del vivente che si trasforma nell’intelligenza dell’incontro, trovando nell’ìnnesto , mai casuale, tra specie diverse, nutrimento e grazia provvisoria. Così, disegnare dal vero il profilo indefinito di una rosa, tentare di restituirne per forza antichissima di pittura il rigoglio squillante o lo struggimento del rapido trapasso, laica vanitas che non conosce rimedio, è, certo, un esercizio di consolidato mestiere, ma è anche, assieme, una pratica di riflessione e un gesto apotropaico. Perché la rosa, simbolo così denso da sfiorare il silenzio, è, prima di ogni altra cosa, emblema di una caducità che non finisce, di una vita brevissima che continuamente si rinnova, caduta e rinascita che non lascia margini all’elegia essendo piuttosto, così almeno accade nei lavori di Paolo Signorino, affermazione costante, persino ossessiva, di una vitalità che per un attimo conquista la forma e si manifesta in immagine, senza misteri e senza infingimenti.
Signorino chiama per nome le sue rose, ricorda chi gliene ha fatto dono, in quale giardino o in quale orto le ha incontrate, ogni foglio reca traccia, in petali e spine , di una storia singolare, di un dialogo, di un’amicizia e di uno scambio, anche con lingue e culture sempre meno lontane e straniere. In fondo, a tenere assieme quarant’anni di rose, còlte e quindi dipinte, è, al di là degli aspetti stilisti e formali, soprattutto la continuità di una vicenda biografica che nell’esperienza quotidiana della pittura ha saputo riconoscere il proprio movente e il proprio coltivato limite. Una pittura, e prima ancora un disegno,  immancabilmente dal vivo, e per questo fragili. E, proprio come una rosa, felicemente impuri”.

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