“Rosa Rosae”…
mi riporta al primo impatto con la lingua latina, al tempo della preadolescenza.
In questo caso, è il titolo della mostra di Paolo Signorino, che si apre a
Ravello domani sera, sabato 28 luglio, alle ore 20.00, negli spazi di Archivio
Ravello Arte Contemporanea, con la direzione artistica di Bruno Mansi. Le rose,
dunque, protagoniste della pittura, in tutte le loro varietà e nelle molteplici
sfumature dei loro colori, Mi dispiace di non poter essere presente all’inaugurazione.
Ringrazio l’amico Paolo per l’invito, rinnovato anche per telefono. Mi riservo
di visitare, in altro momento, l’esposizione, che rimarrà aperta al pubblico
fino all’inizio di settembre.
Signorino,
da sempre, ha privilegiato il rapporto con la natura: dalle piante officinali
ai fiori di campo, alle rose. A testimonianza di una sensibilità delicata, raffinata, che è il tratto che maggiormente lo caratterizza. Ma perché questa
predilezione per le rose? “Perché
le rose che da secoli abitano la letteratura di corte e le feste popolari, i tacuina
sanitatis come pure le facili canzonette di cui Proust – l’amatissimo
Proust - ha tessuto, con perfetto snobismo, le lodi – osserva Stefania Zuliani
-, hanno la bellezza precaria e insuperabile dell’ibrido, del vivente che si
trasforma nell’intelligenza dell’incontro, trovando nell’ìnnesto , mai casuale,
tra specie diverse, nutrimento e grazia provvisoria. Così, disegnare dal vero
il profilo indefinito di una rosa, tentare di restituirne per forza
antichissima di pittura il rigoglio squillante o lo struggimento del rapido
trapasso, laica vanitas che non conosce rimedio, è, certo, un esercizio di
consolidato mestiere, ma è anche, assieme, una pratica di riflessione e un
gesto apotropaico. Perché la rosa, simbolo così denso da sfiorare il silenzio,
è, prima di ogni altra cosa, emblema di una caducità che non finisce, di una
vita brevissima che continuamente si rinnova, caduta e rinascita che non lascia
margini all’elegia essendo piuttosto, così almeno accade nei lavori di Paolo
Signorino, affermazione costante, persino ossessiva, di una vitalità che per un
attimo conquista la forma e si manifesta in immagine, senza misteri e senza
infingimenti.
Signorino chiama per nome le sue rose,
ricorda chi gliene ha fatto dono, in quale giardino o in quale orto le ha
incontrate, ogni foglio reca traccia, in petali e spine , di una storia
singolare, di un dialogo, di un’amicizia e di uno scambio, anche con lingue e
culture sempre meno lontane e straniere. In fondo, a tenere assieme
quarant’anni di rose, còlte e quindi dipinte, è, al di là degli aspetti
stilisti e formali, soprattutto la continuità di una vicenda biografica che
nell’esperienza quotidiana della pittura ha saputo riconoscere il proprio
movente e il proprio coltivato limite. Una pittura, e prima ancora un
disegno, immancabilmente dal vivo, e per
questo fragili. E, proprio come una rosa, felicemente impuri”.
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