Ricevo, pel tramite della signora Eugenia
Apicella, un invito, firmato da Paolo
Imperato, ex sindaco di Ravello, a partecipare alla cerimonia di
scoprimento e benedizione di una scultura, il “Giobbe” di Francesco Messina, donata al Museo dell’Opera del Duomo di Ravello,
con gesto di squisita e, ahinoi!, rara generosità, dall’avvocato Benedetto Imperato, fratello del
compianto mons. Giuseppe Imperato
senior, di venerata memoria, sacerdote di grande carisma e storico appassionato del
territorio amalfitano. Mi auguro che le circostanze mi consentano di essere presente. Intanto, grazie vivissime del cortese pensiero all'amico Paolo e alla sempre gentilissima e puntuale Eugenia Apicella, pietra angolare di buona parte delle attività culturali che si svolgono sul nostro territorio.
L’appuntamento è per le ore 20.30 del prossimo 25 luglio. Dopo i rituali saluti
introduttivi, sono previsti gli interventi di Luigi Marsiglia, critico e storico dell’arte, e del cardinale Antonio Canizares Llovera,
prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti. Moderatore, padre Gianfranco
Grieco, giornalista.
Seguirà un concerto dell’Orchestra d’archi, oboe e flauto,
Organo e Coro della Cattedrale di Ravello sul tema: “La sofferenza dei Giusti: Inno di lode al Signore”. Saranno
eseguiti questi brani: Gabriel’s Oboe,
di Ennio Moricone; Divertimento 136 per
archi, di Wolfgang Amadeus Mozart; Canon
per archi e organo, di Johann Pachelbel; La
primavera, di Antonio Vivaldi; Sta
turnanno primavera, di Mario Schiavo; Gloria,
di Antonio Vivaldi; Andante, di
Emmanuel Michel Colombier; Amarcord,
di Nino Rota; Concerto in fa maggiore,
di Georg Friedrich Haendel; Oblivion,
di Astor Piazzolla; Adoramus, di
Orazio Rosselli; Intermezzo, di
Giancarlo Amorelli; Adoramus, di
Orazio Rosselli.
Ecco come Luigi Marsiglia
descrive questa straordinaria opera di Francesco Messina, destinata ad arricchire ancora di più il già rilevante
patrimonio culturale del duomo e dell’intera Ravello: “La disperata rassegnazione di Giobbe, tradotta con la preghiera muta
del corpo – dal reticolo delle vene degli arti al volto chino, dall’espressione
prostrata ai rilievi muscolari – e con l’afflizione avvertita nel profondo
della carne, si carica di significati religiosi e di richiami umani proprio per
la fragilità dolorosa connaturale all’uomo qui raffigurato. Questa scultura
venne eseguita a Milano nel 1934, anno in cui Francesco Messina ottenne la
cattedra di scultura all’Accademia di Brera, appartenuta ad Adolfo Wildt. Fece
da modello un clochard milanese chiamato Morandi, che posò immobile nello
studio dello scultore in via Filelfo. Messina si avvalse di un disegno preparatorio,
concentrando il proprio interesse sulla posizione delle braccia per rimarcare,
nella gestualità nuda e remissiva, tutto lo sconforto di Giobbe. Una sofferenza
rinfrancata dallo spirito e riscattata da una fede immensa, dove il penitente,
in ginocchio sulla pietra scabra, si ritrova totalmente abbandonato nelle mani
di Colui che sa leggere nel cuore del giusto”.
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