Carmine Manzi, morto l’altro ieri nella sua Mercato San Severino
all’età di 93 anni, era non soltanto un signore, come è sempre più raro
trovarne, e un raffinatissimo letterato. Era, soprattutto, un dispensatore di
cultura. Lo faceva attraverso i mezzi che più gli erano congeniali: l’Accademia di Paestum, da lui fondata nel
1949; il suo giornale, “Fiorisce un cenacolo”, a cui non aveva mai cessato di
dedicarsi; i suoi libri, tanti. E’ presumibile che tra le carte che ha lasciato
ce ne sia ancora qualcuno, pronto da dare alle stampe. Il mio rammarico è di
non avere avuto con lui un rapporto di frequentazione. Solo una volta m’è
capitato di incontrarlo, nel lontano 1963, in occasione del conferimento del
Premio Nazionale Paestum, altra sua invenzione. Avevo accompagnato a Mercato
San Severino l’allora sindaco di Amalfi, e neo deputato, Francesco Amodio, che presiedeva
il comitato d’onore delle celebrazioni del 25° di attività letteraria di Carmine Manzi.
Con lui ho avuto modo di
allacciare un rapporto epistolare quando l’ho pregato di scrivere un ritratto
del parlamentare amalfitano, pubblicato poi dal “Salernitano” il 9 giugno 2005. M’è rimasta impressa una sua osservazione: “Innamorato del
proprio dovere, Francesco Amodio vi tenne fede in tutto l’esercizio della sua
vita… perché questo era nel suo carattere e perché questo aveva appreso nel
corso dei suoi studi storico-sociali ed umanistici”. La stessa cosa si può dire
oggi di lui: come uomo, poeta, scrittore, giornalista di lungo corso, e anche come
amministratore pubblico (sindaco di Mercato San Severino, dal 1953 al 1956).
Nel 2006, Carmine Manzi mi ha
chiese di recensirgli “Il papa alla finestra”, da lui dedicato a Giovanni Paolo II. L’articolo uscì su “Agire”
e dovette piacergli perché, poco dopo, mi mandò il ritaglio di un giornale
italo-americano che lo aveva ripreso integralmente.
Faccio mio il ricordo di chi ha
avuto modo di conoscerlo a fondo: mons. Gerardo Piero, che – nella prefazione a
“Il Papa alla finestra” - esalta la statura di Manzi come “poeta, scrittore, storico” e
lo accredita “come un testimone del nostro tempo”. Carmine Manzi, continua l’ex
arcivescovo di Salerno, è un maestro, anche di vita, “per il suo credo di
cattolico intemerato, di uomo dalle rare sensibilità, di educatore
incomparabile”. Valori che vanno sempre più smarrendosi nella nostra società. “Se
noi ci guardiamo intorno – ecco un’amara riflessione di Carmine Manzi -, ogni
giorno ci viene meno qualcosa, ogni giorno è il sentimento che viene
calpestato, anche quello dell’amicizia è oggi tramontato. E quando diciamo
amicizia, vogliamo alludere alla bellezza del vivere insieme, del vivere in
comunione che diventa sempre più impossibile, stando a quello che succede,
perché l’odio è subentrato al posto dell’amore e si sono sviluppati il rancore
e la violenza tra le persone”.
Un uomo così, quando se ne va,
lascia una vasta eco di rimpianto. Ma lascia, soprattutto, una traccia, una
guida, un esempio, che mi auguro diventi punto di riferimento per quanti operano
nel campo della cultura e dei media. “L’etica – ammonisce Kant – non è la
dottrina che ci insegna come essere felici, ma quella che ci insegna come
possiamo fare per renderci degni della felicità”.
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