L'articolo del 16 giugno 1955 |
L’articolo, che ripropongo qui, fu pubblicato il 16 giugno
1955 su “Il Quotidiano”. Mi sembrò un atto doveroso nei confronti di Alfonso
Gambardella, barman indimenticabile del ‘vecchio’ Gran Caffè di ‘don’ Dino
Lucibello, devotissimo di sant’Antonio, il protettore del quartiere di Amalfi
dove egli aveva casa.
Raramente vado ad Amalfi, ma quando passo dinanzi al Gran
Caffè la mente mi si affolla di ricordi, e così il cuore di nostalgia. Ci
abbiamo passato una vita, noi giovani squattrinati (mi riferisco alla mia
generazione, ovviamente): occupavamo un tavolo e nessuno ci veniva mai a
chiedere di “consumare”. E anche dopo la chiusura del locale continuavamo a
star seduti lì, a discutere, fantasticare, e magari ci rimanevamo fino al sorgere dell'alba.
Don Dino era un gran signore, anche Alfonso lo era. Le sere d’estate al Gran
Caffè erano animate dall’orchestra, si ballava. La pedana veniva collocata ai
piedi della maestosa palma. C’era una clientela quasi fissa, composta da persone
per bene.
Una serata musicale al Gran Caffè |
Mi venne da definire il barman Alfonso un “puro di cuore”
proprio in occasione della festa di sant’Antonio di quell’anno. Ecco ciò che scrissi.
Da qualche tempo sul banco del ‘Gran Caffè’ di Amalfi c’era un grosso libro, in cui il barman Alfonso Gambardella segnava quotidianamente le offerte raccolte per la Festa di S. Antonio, protettore dell’omonimo popoloso rione. E alla fine della giornata, quando faceva la contabiità per controllare l'incasso, gli si illuminava il viso di un sorriso di soddisfazione, perché di sera in sera poteva migliorare i suoi piani per fare una festa veramente bella. Invero l’entusiasmo con il quale quest’uomo ogni anno organizza la festa in onore di S. Antonio è encomiabile. Perciò il rettore della Chiesa, mons. Don Bonaventura Iovene, lo lascia fare ed accetta di buon grado la sua collaborazione.
Bisognava vederlo, Alfonso, a festa terminata, nel banco del ‘Gran Caffè’, con la sua giacca bianca e cravatta a farfalla, ricevere le congratulazioni di tutti gli amici, perché egli era stato uno dei principali artefici dell’ottima riuscita dei festeggiamenti. Dalle cento e più finestre del rione S. Antonio migliaia di lampade si affacciavano e riflettevano le loro luci sul mare quando la statua del santo scendeva in processione lungo la strada e si avviava a fare il giro delle vie della città, seguita da una grande folla di fedeli, assiepata sui marciapiedi e negli angoli delle vie. A mare si erano dato convegno numerose barche a ricevere la benedizione del santo, le campane suonavano a distesa. La banda musicale di Ravello, che seguiva la processione, si dava un gran da fare.
Alfonso uscì un attimo davanti al caffè, salutò il Santo col segno della Croce e tornò raggiante di soddisfazione al suo lavoro. Più tardi, quando la banda attaccò le prime note del ‘Barbiere’ e della ‘Traviata’, Alfonso teneva già pronto il fascio di fiori da offrire al maestro. Ogni tanto usciva a dare un’occhiata o ad applaudire un ‘a solo’ del cornettista durante l’esecuzione del ‘Barbiere di Siviglia’. Per fare questo egli aveva fatto preparare il palco per l’orchestra tra gli alberi del corso Roma, proprio dinanzi al Caffè. Quando poi la banda esaurì il suo programma, sul porto incominciò la sparatoria dei fuochi d’artificio. Si spensero le luci e il cielo si illuminò di colori con lo scoppio della prima granata. Alfonso il barman contemplava e sorrideva leggermente di tanto in tanto. Alla fine, corse dal rettore della chiesa, mons. Don Bonaventura Iovene, gli strinse la mano, gliela baciò, e gli disse: ‘Monsignò’, sant’Antonio vi deve far campare cent’anni!’. Monsignore sorrise, però si vedeva dagli occhi che era commosso. Era commosso soprattutto per Alfonso, per la semplicità e sincerità dei suoi sentimenti, perché Alfonso Gambardella, barman del ‘Gran Caffè’, è indubbiamente un ‘puro di cuore’.
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