Sono trascorsi trentaquattro anni dal 16 marzo 1978, ma il ricordo è ancora vivo nella mia memoria. Ero
a scuola: l’Istituto professionale per il commercio di Amalfi, situato nella
Valle dei Mulini. Qualcuno telefonò per riferire ciò che aveva
sentito alla radio un istante prima: Aldo Moro era stato rapito, a Roma,
in via Fani, dalle Brigate Rosse, che aveano anche ucciso cinque uomini della sua scorta.
Una notizia drammatica, in un passaggio delicato della nostra vita
politica e parlamentare. Proprio quel giorno, infatti, si doveva presentare
alla Camera dei Deputati, per la fiducia, il quarto governo presieduto da Giulio Andreotti, quello
della “solidarietà nazionale”, col determinante appoggio esterno del
Partito comunista. Si trattava di una svolta, voluta proprio da Moro, che
l’aveva anticipata in un suo discorso: “Noi siamo in condizione di
paralizzare in qualche modo il Partito comunista e il Partito comunista è a sua
volta in grado di paralizzare in qualche misura la Democrazia cristiana…
Bisogna trovare un’area di concordia, un’area di intesa tale da consentire di
gestire il Paese finché durano le condizioni difficili nelle quali la storia in
questi anni ci ha portato”. A parte il terrorismo, che rendeva la situazione drammatica, la
ingovernabilità di allora non era molto dissimile da quella
che ha prodotto l'uscita di scena di Silvio Berlusconi e la formazione del governo "tecnico"
presieduto da Mario Monti. Con la differenza che l’economia del
paese non era nelle condizioni disastrose che stiamo vivendo (e soffrendo) ora.
Quell'atto criminale non poteva
lasciare indifferenti. E così, appena la notizia del rapimento di
Moro si diffuse nelle aule, tutto l'istituto - docenti e alunni -
si riversò nel piazzale-parcheggio ad ascoltare, in religioso
silenzio, la sola radio disponibile, che era nell’auto del professore
Salvatore Sorrentino.
Il rapimento fu rivendicato due giorni
dopo con il primo dei nove raccapriccianti comunicati delle
Brigate Rosse. In 55 giorni di prigionia Moro scrisse 86 lettere
(indirizzate per lo più ai familiari, a uomini politici; ma anche a Gaetano
Afeltra, direttore de “Il Giorno”), con le quali tentò di spingere a una
trattativa per la sua liberazione. In suo favore intervennero accoratamente il
papa, Paolo VI, e il segretario dell’ONU Kurt Waldheim. Il mondo politico italiano si divise tra quanti - compresa una buona parte della
dirigenza democristiana - erano contrari a ogni ipotesi di dialogo con le
Brigate Rosse, e il cosiddetto “partito umanitario”, capeggiato da Bettino
Craxi. Vinsero, ahimé!, i "falchi" e, conseguentemente,
il presidente della Democrazia Cristiana fu abbandonato al suo
destino.
Risultato: il cadavere di
Moro fu fatto trovare il 9 maggio,
nel vano bagagli di una Renault 4 rossa parcheggiata a Roma, in via
Caetani, nei pressi delle sedi della Dc e del Pci. La vicenda, dalla quale
sono scaturiti libri, dibattiti, persino film, non è
stata mai chiarita in maniera convincente e... definitiva. Resta,
perciò, tuttora avvolta da ombre e misteri, nonostante che gli
esecutori del rapimento e dell'assassinio siano stati catturati e condannati.
Aldo Moro ad Amalfi con l'onorevole Amodio (dietro, a sin., io) |
Aldo Moro lo avevo conosciuto in occasione di una
sua venuta ad Amalfi (ved. foto a fianco: lo statista è con l’onorevole
Francesco Amodio, dietro - a sinistra - ci sono io) e avevo per lui profonda
stima e ammirazione. Come scrive la figlia Agnese, egli “non si stancò mai di
lavorare per creare dialogo, comunicazione, comprensione, rispetto reciproco”. Era
“un uomo così”. Schivo e riservato, quasi timido, con le sue debolezze, i suoi
hobby, con un culto sacro della famiglia. Un uomo dotato di grande intelligenza,
di straordinaria sensibilità, animato da una profonda
religiosità. Ma, nello stesso tempo, un politico capace di vedere oltre
il contingente, di elaborare tattiche e
strategie proiettate nel futuro, di mediare tra opposte tendenze per
dare un contributo fondamentale alla democrazia, alla convivenza civile, al
progresso economico dell’Italia. Moro – nota la figlia – “aveva sessantuno
anni e avrebbe potuto fare ancora tante
cose per il Suo Paese e per noi”. Peccato che non gli sia stato consentito.
Se non lo avessero ammazzato, certamente
la storia italiana di questi ultimi trentaquattro anni sarebbe stata diversa. E ci saremmo risparmiati avventurieri e avventurismi.
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