venerdì 16 marzo 2012

RICORRE OGGI IL TRENTAQUATTRESIMO ANNIVERSARIO DEL RAPIMENTO DI ALDO MORO


Sono trascorsi trentaquattro anni dal 16 marzo 1978, ma il ricordo è ancora vivo nella mia memoria. Ero a scuola: l’Istituto professionale per il commercio di Amalfi, situato nella Valle dei Mulini. Qualcuno telefonò per riferire ciò che aveva sentito alla radio un istante prima: Aldo Moro era stato rapito, a Roma, in via Fani, dalle Brigate Rosse, che aveano anche ucciso cinque uomini della sua scorta. Una notizia drammatica, in un passaggio delicato della nostra vita politica e parlamentare. Proprio quel giorno, infatti, si doveva presentare alla Camera dei Deputati, per la fiducia, il quarto governo presieduto da Giulio Andreotti, quello della “solidarietà nazionale”, col determinante appoggio esterno del Partito comunista. Si trattava di una svolta, voluta proprio da Moro, che l’aveva anticipata in un suo discorso: “Noi siamo in condizione di paralizzare in qualche modo il Partito comunista e il Partito comunista è a sua volta in grado di paralizzare in qualche misura la Democrazia cristiana… Bisogna trovare un’area di concordia, un’area di intesa tale da consentire di gestire il Paese finché durano le condizioni difficili nelle quali la storia in questi anni ci ha portato”. A parte il terrorismo, che rendeva la situazione drammatica, la ingovernabilità  di allora non era molto dissimile da quella che ha prodotto l'uscita di scena di Silvio Berlusconi e la formazione del governo "tecnico" presieduto da Mario Monti. Con la differenza che l’economia del paese non era nelle condizioni disastrose che stiamo vivendo (e soffrendo) ora.
Quell'atto criminale non poteva lasciare indifferenti. E così, appena la notizia del rapimento di Moro si diffuse nelle aule, tutto l'istituto - docenti e alunni - si riversò nel piazzale-parcheggio  ad ascoltare, in religioso silenzio, la sola radio disponibile,  che era nell’auto del professore Salvatore Sorrentino.
Il rapimento fu rivendicato due giorni dopo con  il primo dei nove raccapriccianti comunicati delle Brigate Rosse. In 55 giorni di prigionia Moro scrisse 86 lettere (indirizzate per lo più ai familiari, a uomini politici; ma anche a Gaetano Afeltra, direttore de “Il Giorno”), con le quali tentò di spingere a una trattativa per la sua liberazione. In suo favore intervennero accoratamente il papa, Paolo VI, e il segretario dell’ONU Kurt Waldheim. Il mondo politico italiano si divise tra quanti - compresa una buona parte della dirigenza democristiana - erano contrari a ogni ipotesi di dialogo con le Brigate Rosse, e il cosiddetto “partito umanitario”, capeggiato da Bettino Craxi. Vinsero, ahimé!, i "falchi" e, conseguentemente,  il presidente della Democrazia Cristiana fu abbandonato al suo destino.
Risultato: il cadavere di Moro fu fatto trovare il 9 maggio, nel vano bagagli di  una Renault 4 rossa parcheggiata a Roma, in via Caetani, nei pressi delle sedi della Dc e del Pci. La vicenda, dalla quale sono scaturiti libri, dibattiti, persino film, non è stata  mai chiarita in maniera convincente e... definitiva. Resta, perciò, tuttora  avvolta da ombre e misteri, nonostante che gli esecutori del rapimento e dell'assassinio siano stati catturati e condannati.
Aldo Moro ad Amalfi con l'onorevole Amodio (dietro, a sin., io)
Aldo Moro lo avevo conosciuto in occasione di una sua venuta ad Amalfi (ved. foto a fianco: lo statista è con l’onorevole Francesco Amodio, dietro - a sinistra - ci sono io) e avevo per lui profonda stima e ammirazione. Come scrive la figlia Agnese, egli “non si stancò mai di lavorare per creare dialogo, comunicazione, comprensione, rispetto reciproco”. Era “un uomo così”. Schivo e riservato, quasi timido, con le sue debolezze, i suoi hobby, con un culto sacro della famiglia. Un uomo dotato di grande intelligenza, di straordinaria sensibilità, animato da una  profonda religiosità.  Ma, nello stesso tempo, un politico capace di vedere oltre il contingente,  di elaborare tattiche e strategie proiettate nel futuro, di mediare tra opposte tendenze per dare un contributo fondamentale alla democrazia, alla convivenza civile, al progresso economico dell’Italia. Moro – nota la figlia – “aveva sessantuno anni  e avrebbe potuto fare ancora tante cose per il Suo Paese e per noi”. Peccato che non gli sia stato consentito.
Se non lo avessero ammazzato, certamente la storia italiana di questi ultimi trentaquattro anni sarebbe stata diversa. E ci saremmo risparmiati avventurieri e avventurismi.

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