E’ da ieri che cerco di trovare parole – non m’è
stato possibile, ci riprovo ora - capaci di esprimere tutta la mia angoscia, tutto il
mio dolore per la tragedia consumatasi mercoledì sera, alle ore 21.14, a
Sierre, in Svizzera, dove un pullman belga si è schiantato in un tunnel
autostradale, provocando una strage: 28 morti, tra i quali 22 bambini, e 24 feriti di cui tre in condizioni disperate. Spero di riuscirci.
Altrimenti, sarebbe meglio star zitto. “Perché dolore è più dolor, se tace”, m’insegna
Giovanni Pascoli, segnato pure lui da una terribile esperienza. L’incidente
di Sierre somiglia molto a quello accaduto 64 anni fa, il 26 dicembre 1947, che stroncò ventidue giovani vite. La corriera, che doveva riportarli a casa da
una giornata sugli sci nella località di San Primo, in provincia di Como, andò a sbattere contro il muretto di un ponte terminando la sua corsa in una scarpata.
Ecco come lo scrittore Dino Buzzati commentò quella sciagura sul Corriere d’Informazione: “Cantavano. […] Erano quasi tutti molto giovani, bravi ragazzi e
ragazze che volevano bene alla montagna; e questo è sempre un segno di cuore
chiaro e gentile. Perché allora? La parola ‘ingiustizia’ ciecamente affiora
nell’animo. Perché proprio loro? Ma noi non si può sapere. Solo un giorno,
forse, ci sarà concesso di capire.” Mi sembra di poter condividere sia l’interrogativo sia la risposta, che non è irriverente né blasfema. Giudico invece, inaccettabile, dalla mia posizione di credente, il titolo de
“Il Giornale” (“Perché Dio si è distratto?”).
Se ‘e figlie so’ figlie! (les enfants sont les enfants!), come esclama Filumena Marturano
nella famosa commedia di Eduardo de Filippo, e so’ piezze ‘e core (les enfants sont des morceaux de coeur), come sottolinea
Mario Merola in un film del 1981, ditemi, come si fa a consolare chi, all’improvviso, e senza una ragione che sia umanamente
accettabile, si vede privare della “cosa” più cara, del “bene” più esclusivo,
di un “pezzo” stesso del suo cuore?
Immagine tratta da Facebook (Progresso solidale) |
“La morte di un bimbo – commentava ieri Paolo Di Stefano sul
Corriere della sera – è talmente innaturale da lasciare orfani madri e padri.
Dei propri figli. Tutto troppo, e tutto contro natura, anche se quella tragedia
viene dalla natura, dalla montagna. […] Una settimana bianca che termina nel
buio di una galleria, l’allegria che in un attimo si capovolge nella tragedia,
il bianco luminoso che si rovescia nel nero più nero, l’inizio della vita che
va a coincidere con la sua fine. E’ troppo, tutto questo è troppo. Ci sono
momenti in cui appare più chiaro che mai quanto il linguaggio sia insufficiente
a contenere l’enormità della vita, le esagerazioni del destino. Ci sono dolori
indicibili, come la morte di un figlio. Ora, se la morte di un bambino è già
troppo, figurarsi quella di 22 dodicenni che hanno appena finito di correre,
urlare, ridere, sognare.”
Ed è troppo soprattutto per un paese, che è ancora
sotto shock per un’altra assurda tragedia, accaduta appena tre mesi fa: mi riferisco
al folle killeraggio di Nordine Amrani alla fermata dell’autobus in place Saint
Lambert a Liegi, costata cinque vittime innocenti. Oltre a 123 feriti.
Mi scrive
Marie-Ange dal Belgio: “Nous sommes tous écrasés par la douleur de ce nouveau
drame, nous sommes tous parents, et nous partageons ce terrible malheur avec
tous ceux qui sont dans la détresse.” Non ho altro da aggiungere perchè le sue parole interpretano esattamente il mio stato d’animo, i miei sentimenti.
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