Cosimo Budetta, che
spesso incrocio in strada, da quando si è stabilito a Salerno, l’altro giorno, cogliendomi di sorpresa, mi ha
manifestato l’intenzione di farmi un ritratto. Gli ho chiesto se voleva che mi
tagliassi la barba (che dovrò comunque tagliare: a mia moglie non piace). “No,
ha risposto, tieniti pure la barba, ti
sta bene”. Stamattina l’ho incontrato di nuovo e me lo ha consegnato. E’ su un
cartoncino tascabile (ne porta sempre con sé, insieme a penna e
matita). In calce, accanto alla firma, ha scritto: “Ritratto a memoria di
Sigismondo”. Non so come abbia potuto, senza avermi in posa davanti a lui, ma
io mi ci riconosco in pieno: nella fisionomia, nell’espressione, nello sguardo,
nelle pieghe del volto.
Stimo molto Cosimo,
artista e uomo. Ha quattro anni
meno di me, da poco è qui, dopo un lungo
periodo della sua vita trascorso ad Agromonte, in Basilicata. In quell’ambiente
silvestre - scriveva Donatella Trotta, una quindicina di anni fa –, egli aveva
assunto “le sembianze d’una sorta di burbero e benefico genius loci… con il
profilo osco, lo sguardo intenso e – spesso – sognante, la barba folta e appena
spruzzata di bianco, le mani larghe e forti e un fare ruvido e schivo che
avvolge il suo radicato (e radicale) understatement con lampi d’ironia”. Credo
che non poteva tratteggiarne la figura in modo migliore.
Sempre dall’articolo di
Donatella Trotta, uscito sul Mattino del 9 marzo 1997, apprendo che Cosimo (io non
mi sono mai spinto a chiedergli di lui: ci confrontiamo soprattutto su quello che ruota intorno a noi…) “ha
attraversato nel suo cammino diverse terre e mestieri – dai campi alla
fabbrica, dall’arte all’insegnamento, in Italia e in Olanda” -, prima di
ritirarsi in quel suo eremo, nel verde del Pollino, del quale ha sicuramente nostalgia. Lontano dal frastuono e dalle distrazioni (o distorsioni?) della città, la sua creatività si
esaltava.
Peccato che il carattere mite,
riservato, al quale però non è estraneo un sottile humour, lo mantengano alla larga dai giri d'interesse che movimentano il mondo dell'arte. Anche se
Sgarbi, nel settembre scorso, lo ha chiamato a esporre (non ricordo se una o due opere) nell’ex tabacchificio di
Pontecagnano, dove s'era allestita la sezione Campania della 54a esposizione
internazionale d’arte della Biennale di Venezia per il 150° dell’Unità
d’Italia. Un po’ poco per uno che s’è fatto apprezzare da intellettuali, poeti,
artisti, critici e scrittori come Bruno Munari, Eduardo Sanguineti, Paolo
Ruffilli, Giorgio Luzzi, Franco Loi, Gerardo Pedicini, Tullio De Mauro, Gillo
Dorfles, Carmine De Luca, Stefano Bartezzaghi e via dicendo. Se fosse più
spregiudicato, o magari disposto a compromessi, spazi espositivi ne troverebbe sicuramente di più. Invece deve indirizzarsi altrove (Nemo propheta in patria, come recita il proverbio). A Milano, ad esempio, dove dal 20 dicembre al 15 gennaio ha allestito, alla
galleria Spaziotemporaneo, una bella mostra su “I libri dei miti e delle
favole”. Già, perché Cosimo è uomo di multiforme ingegno: pittore, scultore,
ceramista, grafico raffinato, poeta delicato e sensibile, che non disdegna in certi casi una sottile e pungente ironia. Oltre che educatore, per l’attività di docente
svolta e perché spesso i suoi interessi sono rivolti all’infanzia. Come quello per il "Tangram" del quale è esperto e al quale ha dedicato un manuale. Scrive per
lo più filastrocche, che pubblica in libretti, di poche pagine, in carta
pregiata, curati artigianalmente, affiancati da deliziosi disegni. “Tesoretti,
insomma, questi piccoli scrigni artigianali – ha osservato un critico -,
cesellati uno a uno, esattamente il contrario dei testi destinati alla grande
distribuzione". E’ un ammiratore (epigono) di Gianni Rodari, del quale – sotto il
titolo “La legge del cortile” – ha pubblicato quattro divertenti poesie, due
delle quali inedite, corredate dalle sue illustrazioni.
E’ vero: “Solo una grande
capacità artistica e poetica e uno studiato amore per il bello e l’originale
può concepire il libro d’artista. E in quest’arte Cosimo Budetta esprime
sensibilità e tecniche, manifesta e plasma la carica di umanità che si porta
dentro”. Sanguineti, Dorfles, Munari, Barberi Squarotti, Ruffilli, Luzzi, e
altri che ora mi sfuggono, sono stati partner e destinatari dei suoi libri d’artista.
Dorfles alla mostra di Milano (da: Vimeo.com) |
Che dire di più? Cosimo ha
collaborato a riviste educative e didattiche quali “C’era due volte…”, “Scuola e
didattica”, “Riforma della scuola”, “Il giornale dei bambini”. Suoi disegni
sono apparsi in molti volumi.
Tappe salienti del suo lungo percorso
artistico sono la creazione, in partnership, del laboratorio
“Dadodue” a Salerno, del “Gruppo di ricerca” a Pontecagnano (nel 1972). Poi le
mostre: a cominciare da quelle personali e collettive del 1957 a Pontecagnano e
Salerno, fino alla più recente, a Milano, già citata. Con una sottolineatura
per la mostra di Libri d’artista alla Biblioteca Universitaria Alessandrina e alla Biblioteca “A. Baldini”, a Roma, e poi
alla Galerie Satellite di Parigi nel 2005 e alla Biblioteca Vallicelliana due
anni dopo.
Con l’editore De Luca di Salerno
ha realizzato, su preziosa carta d’Amalfi, due volumi di grande pregio: “Il
corteo di Nereo” e “Eruttaiatture”: qui – prendo ancora in prestito le parole di Donatella Trotta – “la
grazia grafica e l’inesauribile vena fantastica, allegorica, metaforica si
coniugano con il gusto irridente e provocatorio del gioco”.
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