“Erchie diventerà una nuova Positano”: è il titolo,
virgolettato, di un articolo di Mario Amodio, sul Mattino di domenica 22
gennaio. Esso riprende una dichiarazione resa dal sindaco di Maiori dopo l’approvazione
(finalmente!) del piano spiaggia, che dovrebbe mettere ordine in quella
località, per lunghi anni abbandonata a se stessa. Tanto che, in più di un’occasione,
gli abitanti hanno chiesto di essere aggregati al comune di Cetara. Il titolo dell’articolo di Mario Amodio è pressoché uguale a quello di un
mio “pezzo” pubblicato su Cronache del Golfo il 20 ottobre 1957: “Sarà la ‘Positano
dell’avvenire’ Erchie frazione ignorata di Maiori”. Insomma, sono trascorsi
cinquantaquattro anni e siamo al punto di partenza. Anzi, in una condizione
peggiore: da allora, quel piccolo territorio s’è radicalmente trasformato (e…
deformato).
Perché m’interessai di Erchie, nell’autunno del 1957?
Qualche tempo prima un lettore aveva scritto alla redazione di un grande
rotocalco, Epoca, per avere “qualche ragguaglio su Erchie, frazione incantevole
sconosciuta del Comune di Maiori in Costiera amalfitana”. La missiva suscitò
vivo stupore e preoccupazione tra i redattori, ai quali era nuovo il nome di
quel paese, non riportato sugli atlanti e sulle carte geografiche. Fu possibile
soddisfare la richiesta solo grazie all’aiuto di Alfonso Gatto. Il poeta
salernitano, invitato ad approntare la risposta, riandò con la memoria ai suoi
anni giovanili e narrò che era solito, in compagnia di un amico, avventurarsi
con una barca a remi, al crepuscolo, da Salerno fino a Erchie. “In quell’insenatura
– scrisse Gatto – il mondo taceva come per incanto, la spiaggia di ghiaia bianca,
l’acqua del mare verdissima e chiara sugli arenili. Poche voci tra le pergole
dei giardini d’agrumi. In fondo alla valletta verde dell’insenatura, sotto lo
strapiombo della strada costiera c’era una piccola osteria, una stanza. C’era
pronto un piatto di aguglie fritte, quei pesci lunghi col becco e la spina
verdissima, tenuti al fresco con l’aceto e la mentuccia. Una bottiglia di vino
nero. Ritornavamo sulla spiaggia, infilavamo la bottiglia nella ghiaia dove
batteva la maretta. Mangiavamo con le mani quel pesce odoroso e silvestre,
bevevamo quel vino asprigno. Eravamo felici, parlando delle nostre speranze,
dei nostri timidi amori. La notte rimaneva sempre chiara. Bevendo e bevendo,
parlando e parlando, una notte ci capitò d’addormentarci. Ci risvegliammo che l’aurora
tingeva il cielo di rosso. L’oste, prima di andare a letto, ci aveva coperto
col tappeto dell’unico tavolo della sua osteria. Questo per me è Erchie”.
Spero che la previsione del sindaco di Maiori possa realizzarsi. Però mi domando: quanto rimane di quel paese tranquillo, ancora non invaso dalle auto, pittoresco, quasi un’oasi per anime elette (in un territorio
– quello della Costa d’Amalfi - che a metà degli anni cinquanta cominciava ad aprirsi alla massificazione
del turismo), dove i giardini di limoni – poi (ahi! ahi!) cementificati per diventare
parcheggi – scendevano a terrazze fino a toccare il mare?
Sono pessimista sul futuro di Erchie. Bastassero le buone intenzioni e le belle parole del sindaco! Continueremo ad avere per altri cinquanta anni l'orribile buco nella roccia della cava, le baracche di cemento e lamiera sulla spiaggia, gli scheletri degli edifici incompiuti. In compenso i parcheggi continueranno ad espandersi. Perchè sono pessimista? Perchè, in fondo, di Erchie, non frega niente a nessuno ...
RispondiElimina